Appena sette anni fa, nel 2006, la Sicilia aveva 205 mila occupati in più rispetto ad oggi; è questa la prima allarmante riflessione contenuta nel report dell'Ufficio Studi di Banca Nuova, che ha avviato da quest'anno la pubblicazione di un rapporto periodico sull'economia siciliana.
Certo, appaiono lontani gli anni nei quali le due maggiori banche dell’Isola, il Banco di Sicilia e la Sicilcassa, scrutavano con puntualità il quadro economico siciliano, traendone analisi e spunti in grado di orientare persino le scelte di una politica regionale certo più attenta di oggi, tuttavia va salutato come un fatto positivo l’ingresso di Banca Nuova nel ristretto ambito dei «centri di osservazione» del territorio isolano (Regione Siciliana, Banca d’Italia Sede di Palermo, Fondazione RES, Centro Curella, etc); per la Sicilia, infatti, la carenza di puntuali flussi informativi costituisce un ulteriore, penalizzante elemento di fragilità.
A settembre scorso la Sicilia, segnala Banca Nuova, ha raggiunto la soglia di appena 1 milione e 298 mila occupati; quella della mancanza di lavoro è forse la più dolorosa criticità dell’economia siciliana. Mai nella storia statistica dell’Isola degli ultimi venti anni si era toccato un livello tanto basso di occupati, il che fotografa meglio di tante parole la situazione di reale declino dell’Isola.
Passando poi a considerare il numero dei residenti in Sicilia, il saldo 2012 fornisce un esito apparentemente tranquillizzante; risulta infatti una variazione pari a zero rispetto ai dodici mesi precedenti. Cinque milioni eravamo e cinque milioni siamo. In realtà, questa fittizia invarianza cela anch’essa una situazione sfavorevole che scaturisce da articolati processi demografici: diminuiscono infatti i giovani, aumentano gli anziani e si accresce l'incidenza degli stranieri. In valore assoluto, negli ultimi due anni, la Sicilia ha perso dieci mila residenti, malgrado soltanto nel 2102 la popolazione straniera sia aumentata del 10%, rispetto a una crescita nazionale dell'8%. Un territorio che perde giovani e invecchia pone le premesse per la propria catastrofe.
Spunti più interessanti e, sotto certi aspetti, anche più confortanti per la Sicilia, scaturiscono invece dall’analisi dei flussi commerciali di import ed export aggiornati al primo semestre del 2013. Due fatti risaltano su tutti; da un lato è in sensibile crescita (+14%) l'esportazione di prodotti siciliani al netto dei derivati petroliferi; l’export «no oil» rappresenta ormai oltre un terzo del totale delle nostre esportazioni. In secondo luogo la Sicilia è riuscita ad intrecciare importanti flussi di interscambio con i Paesi della costa Sud del Mediterraneo.
Più in dettaglio tirano, come si dice in gergo, le esportazioni di alimenti e bevande, di farmaci, di pc e di apparecchiature elettroniche, mentre sul fronte dei Paesi partner commerciali, Turchia, Libia, Egitto e Malta sono tra i primi destinatari delle nostre esportazioni. Tenuto conto che questa parte del mondo - della quale colpevolmente cogliamo solo alcuni fenomeni più appariscenti (immigrazione clandestina, primavere arabe, etc) - segnala da tempo una intensa e costante crescita economica, con tassi di incremento del PIL e dei consumi per noi impensabili, si schiudono interessanti prospettive di lavoro (e di occupazione) per quella parte dell’industria siciliana che sta tentando di conquistarsi, con le unghia e con i denti, uno spazio sui mercati internazionali.
L’apertura dei mercati internazionali è un’attività complessa e nella quale non si può improvvisare; in tale ambito tuttavia le principali banche operanti in Sicilia si stanno impegnando a vantaggio delle imprese con una preziosa opera di stimolo, di formazione e di traino, persino surrogando un distratto sistema regionale che avrebbe potuto orientare risorse finanziarie verso la formazione, a esempio, di operatori commerciali con l'estero, anche a rischio di sacrificare qualche corso di shampista, pizzaiolo o aiuto regista.
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