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I partiti alla prova dell’antipolitica

Lo stesso sentimento si ebbe alla fine del '93, quando il ciclone di Mani Pulite aveva azzerato di colpo i cinque partiti di centrosinistra che avevano governato l'Italia dal dopoguerra



Fuori i vecchi! Basta con la vecchia politica! È la parola d'ordine di queste settimane febbrili di pre-campagna elettorale. Mancano meno di quattro mesi alle elezioni politiche del 10 marzo e solo a sinistra la partita sembra chiara, a meno di un improbabile sconvolgimento nelle elezioni primarie che porti Matteo Renzi alla premiership della coalizione e poi a palazzo Chigi. Renzi ha comunque giocato anche per Bersani: il ritiro dal parlamento di D'Alema e Veltroni può costituire una perdita d'esperienza, ma rivernicia oggettivamente l'immagine del segretario e lo affranca da padrinati un tempo necessari e oggi non più.
Chiunque vinca, tuttavia, dovrà vedersela con il cavallo imbizzarrito dell'antipolitica che vuole dovunque facce nuove per una politica nuova. Lo stesso sentimento si ebbe alla fine del '93, quando il ciclone di Mani Pulite aveva azzerato di colpo i cinque partiti di centrosinistra che avevano governato l'Italia dal dopoguerra. Sembrava certa la vittoria dei «progressisti» di Achille Occhetto (che pure era tutt'altro che nuovo) e solo a gennaio del '94 Silvio Berlusconi annunciò la propria discesa in campo: venne interpretato come la vera novità attesa da gran parte degli italiani e due mesi dopo era a palazzo Chigi, con grande scorno della Vecchia Politica.
Chi conosce il Cavaliere sa che la sua tentazione sarebbe di riprovarci vent'anni dopo, ma i tempi sono mutati e lui ha sulle spalle nove anni di governo non sempre glorioso.
Ieri sera Angelino Alfano ha segnato un punto in suo favore strappando a Berlusconi la conferma dello svolgimento di elezioni primarie, nonostante due difficoltà emerse negli ultimi giorni: l'anticipo delle elezioni politiche rende impossibili le primarie in quattro turni che saranno ridotti a due, se non a uno soltanto. E la santa ingenuità dei dirigenti del partito che - aderendo alla richiesta di informare gli organismi periferici della lista degli aspiranti candidati - ha autorizzato l'apertura del tendone di un circo che certo non giova all'immagine del PdL. Speriamo che abbiano ragione quei dirigenti che ieri sera giuravano che non più di cinque candidati entro domenica avranno trovato diecimila firme valide. Preoccupante politicamente per Alfano è la candidatura di Giorgia Meloni, sostenuta non a caso dai dirigenti più vicini a Berlusconi ai quali non dispiace l'indebolimento del segretario.
Il rischio è che i voti raccolti dalla Meloni all'insegna del «Mai più con Monti» lascino intendere che Alfano punti sul Monti bis. Cosa che ovviamente allo stato non può essere. Ma a proposito di nuovismo il PdL non è il solo a soffrire. Si prenda il centro e l'Udc. È bastata l'affollata convention di «Verso la Terza Repubblica» - estensione di Italia Futura di Luca di Montezemolo - per far risultare dai sondaggi il partito di Casini come «vecchio». Dai nuovi centristi viene consigliato il pensionamento di Rocco Buttiglione e di Lorenzo Cesa, che però sono il presidente e il segretario dell'Udc. Ipotesi già respinta da Casini il quale ha peraltro rinunciato alla fusione con la lista di Montezemolo ritenendo - sondaggi alla mano - che uno più uno farebbe meno di due. Perché - dicono i «futuristi» - l'Udc è un partito come gli altri e perciò poco gradito alle masse. Montezemolo è un volto nuovo per la politica, ma non vuole candidarsi e sbaglia: non si può formare un esercito e rifiutarsi di guidarlo.
I leader nascono anche dai rischi che sanno assumersi, dalle ferite che sul corpo si affiancano alle corone d'alloro. Insomma è ancora un gran pasticcio. E c'è da giurare che tra un semiporcellum e l'altro, la legge elettorale non vedrà la luce fino a quando Berlusconi non deciderà quante liste presentare.

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