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Gesip, ancora una volta contro la città

I lavoratori della Gesip sono proprio convinti che l’assedio alla città sia la migliore delle proteste possibili? Qualche dubbio è lecito. Non è certo facendo pagare ai cittadini inermi il prezzo della loro rabbia che otterranno solidarietà. Perché se è vero che i 1.800 dipendenti dell’azienda difendono il diritto allo stipendio è altrettanto vero che il resto dei palermitani ha il medesimo diritto alla mobilità che spesso coincide con il lavoro. I taxisti con le macchine ferme nel traffico non lavorano e non guadagnano. Gli autotrasportatori con i mezzi bloccati non lavorano e non guadagnano. I commercianti con i negozi vuoti non lavorano e non guadagnano.
E allora una domanda: perché questi lavoratori devono perdere il diritto al loro compenso per dare la possibilità a quelli della Gesip di far sentire più alta la propria voce? Non si capisce. La rivolta in corso è un rigurgito di disperazione. Ma la guerriglia non è la risposta. Tanto meno in questo momento che il sindaco è impegnato nella ricerca di una soluzione. La piazza che ribolle non aiuta. Orlando ha garantito che i soldi arriveranno. Quindi bisogna avere la pazienza di aspettare. Anche perché le condizioni poste da Roma sono strette. Il governo ha chiesto un piano industriale per il futuro della Gesip. L’epoca dei soldi distribuiti a pioggia è terminata per sempre. E non sarà certo la città sotto assedio a ripristinarla. Altrimenti sarebbe molto difficile, poi, spiegare per quale ragione i lavoratori sardi dell’Alcoa e della Carbosulcis devono rassegnarsi alla disperazione mentre quelli della Gesip di Palermo ottengono quello che vogliono. Non funziona così. Non funziona più così. Deve essere chiaro una volta per tutte, che la rivolta di strada per vertenze sociali non paga. Anzi provoca la risposta dura da parte dello Stato. Lo ha fatto il questore che ha annunciato un intervento a tolleranza zero. Non è repressione. Solo tutela dei diritti della cittadinanza contro la prepotenza di pochi.

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