La classe politica regionale, di fronti ai robusti tagli prospettati dalla manovra bis di ferragosto alle poltrone ed agli emolumenti (ARS, Province, Comuni, enti regionali) si ribella. E si prepara a sventolare, per difendersi, il vessillo della specialità dello Statuto. Senza rendersi conto che lo Statuto viene sempre più diffusamente considerato dai siciliani come una palla al piede. Come uno strumento che, nato con ben altre e nobili finalità, è diventato uno scudo per sprechi e privilegi.
Per quanto concerne l'Assemblea regionale siciliana va detto subito che il numero di 90 deputati si rivela da ormai molto tempo assolutamente spropositato. Era stato previsto dai padri dello Statuto, che lo scrissero pochi mesi dopo la caduta del fascismo (negli ultimi tre mesi del 1945), comprensibilmente assetati di democrazia, nel contesto della forma di governo parlamentare (poco dopo adottata dall'Assemblea costituente per lo Stato) alla quale esso si ispirava. Secondo quanto si può ricavare dall'esame dei lavori preparatori (sul punto assai striminziti) il numero fu determinato sulla base di un calcolo basato sul numero degli abitanti. Si voleva che ad ogni deputato da eleggere corrispondesse un certo numero di elettori in guisa da facilitare i rapporti tra elettori ed eletti.
Ma con la riforma dello Statuto intervenuta nel 2001 la forma di governo parlamentare è stata ripudiata e sostituita dalla forma di governo presidenziale. Mentre prima gli elettori votavano per eleggere soltanto i deputati dell'Assemblea regionale, ed era questa ad esprimere il presidente e gli assessori, adesso gli elettori votano per eleggere direttamente il presidente ed è questo a scegliere gli assessori. Vero è che eleggono anche i deputati, ma il collegamento tra gli elettori e l'esecutivo regionale non passa più dai deputati i quali, non esprimendo il presidente e gli assessori, hanno una possibilità di incidenza scarsa o nulla.
I deputati hanno sì conservato la funzione di iniziativa legislativa, ma quasi mai i disegni di legge di iniziativa parlamentare vanno in porto e la possibilità di incidenza sui disegni di legge di iniziativa governativa è minima. Sicché anche sotto tale profilo il collegamento dell'elettorato con gli eletti è assai tenue.
Il fenomeno raggiunge il suo culmine nell'attuale situazione (sempre ripetibile) caratterizzata da una presidenza con maggioranza variabile e di fatto sensibilmente variata rispetto alle elezioni. E ciò sebbene lo Statuto si ispiri al principio simul stabunt simul cadent (insieme stanno ed insieme cadono) in quanto prevede che, in caso di approvazione da parte dell'Assemblea di una mozione di sfiducia nei confronti del presidente o di dimissioni o di rimozione o di morte di questo si procede a nuove elezioni dell'una e dell'altro. L'elettore che, supponiamo, abbia votato per l'elezione di un deputato facente parte della coalizione di cui il presidente eletto era espressione oggi può vedere quel deputato collocato al di fuori della maggioranza.
In altri termini siamo tornati alla politica dei due forni (rimpianta ed auspicata da qualche forza politica ma non più accettabile per la maggior parte degli elettori) sicché il deputato eletto, oltre a non condizionare più l'elezione del presidente e della giunta, ha una possibilità di incidenza nella formazioni delle leggi che nella migliore delle ipotesi è assai limitata, e nella peggiore è inesistente.
Le uniche leggi che vengono approvate sono in concreto quelle presentate dalla giunta. E sono pochissime. La Regione sembra avere perduto la capacità e la voglia di dettare regole derogatorie per rendere la disciplina delle singole materie più adatta alle esigenze della comunità siciliana.
Di più. Di fronte alle riforme che vengono introdotte nella disciplina statale (fatta eccezione per qualche materia come quella degli appalti) non avverte neppure l'esigenza di intervenire per mettere ordine, sicché il cittadino, l'operatore, il giudice, si devono continuamente porre il problema di quale è la norma da applicare.
Ciò posto, una congrua riduzione del numero dei deputati regionali si impone, e da tempo, anche a prescindere dalla manovra bis. Si può forse dubitare della legittimità costituzionale della disposizione secondo la quale l'adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale ai parametri dettati da decreto legge per quanto concerne il numero dei consiglieri regionali e degli assessori (per la Sicilia rispettivamente 50 e 10), nonché gli emolumenti agli stessi spettanti costituisce condizione per l'applicabilità dei meccanismi perequativi previsti dalla legge sul federalismo fiscale.
Ma non si può condividere l'intento di resistere sollevando la questione davanti alla Corte costituzionale, anziché adeguarsi. Nel momento in cui a tutti vengono imposti sacrifici, arroccarsi impugnando l'antica bandiera dei rivendicazionismo non potrebbe non suscitare un ampio dissenso da parte dei cittadini siciliani.
È necessario che la classe politica siciliana, al contrario, dimostri la propria disponibilità a partecipare a tali sacrifici ponendo mano immediatamente al procedimento per la modifica dello Statuto, con la presentazione all'Assemblea regionale di un disegno di legge costituzionale che porti da 90 a 50 il numero dei deputati a partire dalla prossima legislatura.
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