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La politica e il diritto

C’è chi ha presentato la decisione della Corte suprema brasiliana di rimettere in libertà il terrorista Cesare Battisti come una sconfitta dell'Italia, che da anni ne chiedeva invano l'estradizione e ha lottato fino all'ultimo per ottenerla. In realtà, si è trattato di una sconfitta del Brasile, che, nonostante le capziose spiegazioni fornite, ha perso con questa sentenza una parte della sua credibilità internazionale di Stato di diritto; e se - come molti autorevoli giuristi prevedono - la Corte internazionale di Giustizia dell'Aja cui il nostro governo si appresta a ricorrere ci darà ragione, riconoscendo che il Brasile ha violato il Trattato di estradizione del 1989, questa credibilità subirà un colpo ulteriore: si avrà cioè la conferma che - come ha detto ieri a caldo Frattini - "la politica è prevalsa sul diritto" e che il Brasile "ha commesso un atto indegno di una nazione civile e democratica". All'origine di tutta la controversia c'è infatti la decisione dell'ex presidente Lula, sobillato dall'allora ministro della Giustizia (ed ex guerrigliero marxista) Gueno, di considerare Battisti non un volgare assassino responsabile di quattro omicidi ma un rifugiato politico, come se i suoi Proletari armati per il comunismo fossero stati una organizzazione legittima che lottava contro un potere dispotico.
Ne è seguito un interminabile quanto complicato conflitto tra il potere esecutivo e quello giudiziario, da cui entrambi escono male. Nel 2009 infatti quella stessa Corte suprema che l'altro ieri ha negato l'estradizione di Battisti gli aveva tolto lo status di rifugiato politico concessogli dal capo dello Stato.



La strada per la sua riconsegna all'Italia sembrava pertanto spianata, anche se la decisione finale veniva lasciata a Lula. Questi, messo in imbarazzo dalla Corte, ma risoluto a mantenere le promesse fatte alla potente lobby di sinistra che si era mobilitata per Battisti, ha continuato a prendere tempo e deciso in suo favore solo a poche ore dalla fine del suo mandato. Per la sua pupilla ed erede Dilma Rousseff, che pure in tempoi non sospetti si era pronunciata a favore dell'estradizione, è stato così politicamente impossibile fare marcia indietro; e ora anche la Corte suprema - in contraddizione con se stessa - ha finito con l'adeguarsi, decidendo a maggioranza che Lula aveva agito nell'ambito delle sue prerogative e che pertanto l'Italia non aveva il diritto di contestare in giudizio la sua decisione.



Il presidente Napolitano ha perciò tutte le ragioni di lamentare che sono stati lesi gli accordi e l'amicizia tra i due Paesi e che, indirettamente, è stato dato un colpo anche alla lotta al terrorismo. Sebbene le motivazioni formali siano altre, nel mandare libero Battisti la Corte suprema brasiliana ha in pratica prestato fede alle affermazioni dell'assassino che il suo processo non è stato regolare, che una volta rinchiuso in un carcere italiano sarebbe stato in pericolo di vita e altre assurdità del genere. Perciò, in queste ore, si stanno levando molte voci a favore di qualche forma di ritorsione, da un boicottaggio dei prodotti brasiliani alla non partecipazione della nostra nazionale ai mondiali di calcio che si svolgeranno in Brasile nel 2014. Sono manifestazioni legittime, ma prive di senso. Per quanto grave, la vicenda Battisti non può compromettere i rapporti tra due Paesi tra cui esistono antichi legami e in cui (come ha fatto notare qualcuno) la Fiat vende più automobili che in Italia. Battisti libero è un'offesa non solo per i parenti delle sue vittime, ma per tutti noi. Tuttavia, nel XXI secolo non si può reagire a un o schiaffo con una raffica di mitra.

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