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Fiat, la difesa blindata dell’esistente

Il contratto di Pomigliano è stato firmato ieri. Riflette l'accordo firmato a giugno e apre le strade al rilancio dello stabilimento campano. Per cinquemila lavoratori vuol dire la stabilizzazione del futuro. La Fiat sposterà dalla Polonia a Napoli la produzione della Panda che ancora oggi rappresenta il modello di punta. La Fiom ha risposto con uno sciopero di otto ore. Una liturgia antica. L'ala estrema della Cgil che, di fronte alle novità, risponde con un secco rifiuto. «Conservatorismo di sinistra» l'hanno chiamato. La confederazione guidata da Susanna Camusso immobile contro ogni riforma. La Fiat accusata di aver condotto un attacco «senza precedenti ai diritti e alla democrazia». Insomma uno sciopero politico.
Ci sono diversi modi per contrapporsi alle idee che non si condividono. C'è una maniera creativa che passa attraverso la presentazione di un progetto alternativo nell'interesse dei lavoratori (e magari dei disoccupati che non sarebbe nemmeno una cattiva idea). C'è invece una maniera profondamente conservatrice. Passa attraverso la difesa blindata dell'esistente. Come se le riforme fossero il frutto di un disegno perverso dei nuovi barbari scesi in campo per sfasciare tutto. La Fiom-Cgil, a differenza di Cisl e Uil, ha scelto questa seconda strada. Come corollario c'è la scomunica lanciata contro i sindacati che hanno firmato accusati di essere servi dei padroni. Ma anche l'anatema nei confronti dell'azienda. In questo caso Marchionne accusato, dal segretario della Cgil, Susanna Camusso, di essere «autoritario e illiberale». La Cgil è ormai schiava dei suoi automatismi. Incapace di scendere in campo aperto per affrontare il mondo che cambia, preferisce rifugiarsi nella sicurezza degli antichi solgan. Una torre corazzata di parole. Così non è necessario affacciarsi alla finestra e confrontarsi con il mondo che cambia. Anatemi e scomuniche per salvare la coscienza. Un atteggiamento disperato che sta dividendo il quartier generale della sinistra. Piero Fassino, ex segretario del Pd, che annuncia l'appoggio alle posizioni della Fiat. Così come il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, o l'ex presidente del Senato, Franco Marini che, fra l'altro, vanta una grande carriera nel sindacato che lo portò alla segreteria della Cisl. Dall'altra l'ala più radicale come Niky Vendola che parla di «restringimento degli spazi di democrazia», come la Fiom. Oppure Antonio Di Pietro che, con la consueta incontinenza verbale accusa l'amministratore delegato «autoritarismo fascista».
Insomma l'immobilità della Cgil sta provocando più danni nel campo amico che non alla Fiat. Marchionne si è limitato ad una battuta: «Dispiace che la Fiom non si renda conto dell’impotanza di questo accordo». A questo punto le parole stanno a zero: nel 2010 l'Italia ha prodotto appena 500 mila auto. Meno della Cecoslovacchia. Un decimo della Germania. Le cifre sono queste e con queste la Fiom e la sinistra nel suo complesso si devono confrontare. Il resto, come diceva un grande banchiere come Enrico Cuccia, solo chiacchiere e tabacchiere di legno.

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