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Fiat, quando i sindacalisti sono un pericolo per i lavoratori

«È un caso più unico che raro che un'azienda investa per raddoppiare la produzione in Italia, spostare un modello da un'altra parte d'Europa in Italia, a Pomigliano, uno dei posti più critici per l'occupazione in Italia. Questo sforzo andrebbe apprezzato». Questa è l'opinione di Sergio Chiamparino,sindaco di Torino, la città della Fiat, uomo di sinistra da sempre, preoccupato per il "no" della Fiom all'accordo per Pomigliano d'Arco.È da qui che bisogna partire per capire questa complessa vicenda,che vede la politica e l'ideologia strettamente connesse con quelle che dovrebbero essere vicende esclusivamente sindacali e soprattutto di tutela dell'occupazione,in una fase così critica, soprattutto per il Sud. Ai falchi della Fiom si sono accodati molti " Soloni" e pensionati del vecchio sindacalismo (da Antonio Pizzinato a Sergio Cofferati,ex segretari generali della Cgil ) e dirigenti ed ex leader della galassia dei partiti comunisti (da Bertinotti a Giordano, Ferrero, Ferrando, Diliberto, ecc.), con l'aggiunta di due ex magistrati, allineati sulla stessa linea demagogica dell'Idv, Di Pietro e De Magistris, oltre a Vendola (in continua fibrillazione per la ricerca di consensi per il suo partito,"Sinistra e libertà") e in parte anche Bersani, in grande imbarazzo, visto che lo stesso leader della Cgil, Guglielmo Epifani,ha preso le distanze dagli oltranzisti della Fiom, contrari persino al referendum,consapevoli che la stragrande maggioranza dei lavoratori voterà per l'accordo .
Bisognerà partire quindi, non tanto dalle deroghe (vere o presunte) che vengono sbandierate, dai diritti dei lavoratori che, probabilmente subiranno qualche limitazione, ma dalla proposta di Sergio Marchionne, che non è certo un filantropo, ma ha ben presenti gli interessi della Fiat e dell'Italia, quando ha proposto di investire qualcosa come 700 milioni di euro per consolidare e portare nuova occupazione in un'area depressa come la Campania. Ma per far questo l'ad della Fiat deve poter dimostrare agli azionisti che la produttività italiana può avvicinarsi a quella di altri Paesi europei (Polonia, ad esempio). Infatti, ricordiamo (dati medi degli ultimi tre anni) che, per produrre in Italia 650 mila auto all'anno, operano 5 stabilimenti con 22 mila dipendenti, mentre in Polonia per metterne sul mercato 600 mila è sufficiente un solo impianto con 5.800 operai; per non parlare del Brasile, dove in un solo stabilimento di 8.700 dipendenti, se ne producono 700 mila. Certo le cose saranno pure migliorate a Pomigliano (l'assenteismo sembra ridotto al 5% negli ultimi tempi), ma il divario di produttività con l'estero è ancora molto alto. Perchè allora Marchionne insiste sugli investimenti in Campania? È evidente che si tratta di una ragione politica. Dopo la chiusura di Termini Imerese (prevista per il 2011) la Fiat, che sta realizzando la più grande ristrutturazione della sua storia (due aziende: una per i veicoli industriali, l'altra per le auto, in accordo con la consociata Chrysler), non si può permettere di licenziare i 5.000 lavoratori di Pomigliano. Sarebbe un danno di immagine troppo grande. E sa benissimo che il governo (e tutti i sindacati) farebbero di tutto per impedire questa scelta. Da qui l'idea di rilanciare con un nuovo (colossale) investimento.
Un'occasione veramente unica che un sindacato moderno deve saper cogliere con sano realismo. Ma è evidente che i dirigenti sindacali della Fiom viaggiano da sempre su una direttrice diversa, condizionati da logiche politiche e ideologiche. Siamo purtroppo molto lontani dalle gestioni di sindacalisti riformisti come Trentin. E le conseguenze delle scelte di tanti rivoluzionari di risulta (sindacalisti e politici), col vitalizio di deputati e senatori e con gli stipendi di europarlamentari, finiranno col pagarle solo i lavoratori.

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