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Ricchezza nazionale, l'Italia cresce fra gli ostacoli

L’Italia torna a crescere. I dati dell'Istat dicono che nel primo trimestre di quest'anno la torta della ricchezza nazionale è aumentata dello 0,5% (0,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso).
Un risultato non certo trascurabile tenuto conto che la media europea è pari allo 0,2%. Facciamo però peggio della Germania che in un anno è cresciuta dell'1,6 e della Francia (+1,2). Il problema è rappresentato dalla scarsa domanda interna. I consumi, infatti, continuano a restare fermi. Per farli ripartire sarebbe necessario dare sprint ai salari.
Su questa strada, però, l'Italia è indietro. Nella classifica dell'Ocse figuriamo solo al posto numero 23. Un po' indietro. Come mai? Gli ostacoli sono due e, senza la loro rimozione, non c'è speranza che la situazione cambi. I freni sono: la scarsa produttività e l'eccessiva tassazione sul lavoro. I due temi si intrecciano. Gli indici della produttività in Italia sono fra i peggiori del mondo: le statistiche dell'Ocse ci dicono che, negli ultimi trent'anni, l'indice italiano è raddoppiato passando da due a quattro. Negli Stati Uniti, però, è triplicato (da due a sei) per non parlare di quello che è accaduto in Corea. È chiaro che se la produttività non aumenta è difficile far salire i salari.
E in questo senso i sindacati dovrebbero riflettere. Soprattutto la Cgil che si oppone strenuamente a qualsiasi ipotesi di decentramento contrattuale. Dando quindi più spazio agli accordi regionali e a quelli aziendali.
Il livello, cioè, dove potrebbe saldarsi il connubio sano tra maggior produttività e minor fisco. La difesa blindata della contrattazione nazionale sta portando a risultati molto penalizzanti.
Secondo le tabelle Ocse un dipendente non sposato percepisce, mediamente, una remunerazione netta inferiore al 55% del costo del lavoro sostenuto dal datore di lavoro. Ai contribuenti con reddito elevato resta un salario netto inferiore al 50%. Nel primo caso il cuneo fiscale è del 46,5% (come nel 2008), il sesto più pesante tra i Paesi industrializzati. Per il single ad alto reddito il cuneo è del 51,5% (51,6% nel 2008), il quinto più elevato nell'area Ocse. Rispetto alle medie dei paesi industrializzati la differenza è di circa 10 punti percentuali.
In valori assoluti sui salari netti si traduce in una media 2009 di 22.027 dollari a fronte di una media Ocse 26.395 dollari e una medie Ue-15 di 28.454 dollari.
Va un po' meglio per le famiglie: il nucleo composto da un genitore con due figli ha pagato un po' meno tasse (25% contro 25,5% nel 2008), pur sempre maggiore di circa 8 punti alla media Ocse. Insomma se gli stipendi italiani sono bassi la colpa non è certo dell'impresa. Ma del fisco e delle rigidità sindacali.

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