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Quando parlare significa conoscere se stesso

Nel nostro modo di utilizzare le parole sono compresi modelli di sessualità, di divinità, di potere e giustizia. Chi lo avrebbe detto? Eppure è così o almeno così sostiene un grande esperto del linguaggio, Steven Pinker (insegna psicologia al Massachusetts Institute of Technology) nel saggio Fatti di parole (Mondadori). Infatti, nel linguaggio, sia colto sia quotidiano, sono radicati concetti e nozioni di intimità, benessere e pericolo e una filosofia del libero arbitrio. Al di là di piccole variazioni, la logica di ogni lingua è sostanzialmente identica, così come la modalità di comunicazione verbale. Ciò significa che è facile capire chi siamo e le vere ragioni dei nostri comportamenti. Tutto questo lo ha scoperto Pinker dopo una serie di ricerche nel corso di molti anni, indirizzati allo studio della facoltà di linguaggio, ai processi cognitivi e la natura umana. In altre parole lo studioso arriva alla conclusione che ogni essere umano si forma un’immagine del mondo fisico e del mondo sociale che non corrisponde al flusso di sensazioni provocato dall'incontro della mente con l'ambiente esterno, ma è costruito da un limitato repertorio di pensieri primari o «concetti naturali» (spazio, forza, dominanza, parentela, contaminazione). Ragionamenti che sembrano complessi ma che l'autore traduce in modo estremamente elementare, facendo ricorso a giochi di parole e ad esempi tratti dall'attualità, dalla letteratura e dal cinema. Giocando sulle parole c'è uno studioso triestino, cultore di linguistica ed etimologia, che ha analizzato numerose parole, alcune bizzarre, altre di uso comune, e ci ha scritto un libro (Piero Zannini, Cos'è la bellezza dell'asino?, Salani editore). L'autore colleziona parole, come fossero conchiglie, e poi le analizza. Ovviamente le valutazione è strettamente personale. Nel libro viene riportata anche una curiosa storia dell'alfabeto. L'autore cerca di dimostrare che non furono i fenici a inventare l'alfabeto, come abbiamo sempre creduto, ma altri. L'alfabeto è stato inventato almeno sette secoli prima, come rivelerebbero i reperti trovati nel sito di Serabit el-Khadem, nel deserto del Sinai, che confermerebbero che l'antica scrittura alfabetica risale al XV secolo avanti Cristo. Ma vi sono parole più «politiche» (come folla, massa, classe). Di queste si è occupato Andrea Cavalletti, professore di estetica e letteratura italiana all'Università Iuav di Venezia. Nel libro Classe (Bollati Boringhieri), l'autore spiega come, nel corso di due secoli, molte parole possono assumere significati diversi. Ad esempio, per i teorici di fine ’800 la «folla» si lascia descrivere in termini di chimica fisica, di ideologia o di patografia della suggestione. La «massa», utilizzata da schiere di sociologi, economisti e filosofi, assume un significato diverso per Elias Canetti e altri studiosi. E che dire poi della «classe» che per Walter Benjamin è «l'oppresso che risponde all'oppressore»? Infine, parole particolari, quelle del gusto, che fanno parte dei linguaggi del cibo. Chi si occupa di questo divertente capitolo della lingua è un professore notissimo, storico e critico letterario, Gian Luigi Beccaria (Misticanze, Garzanti). È noto infatti che dalla notte dei tempi la cucina ha scatenato invenzioni e fantasie, sorprese e spettacolo. Il cibo è nomenclatura, varianti, ricchezze verbali; contrassegna identità culturali, religiose, di classe, è prescrizione, divieto, comportamento. Beccaria mette in tavola tutte le parole del cibo e intorno al cibo attraverso un viaggio compiuto nella giungla delle lingue locali o dialetti: dal pane agli alimenti di strada, ai vini, alla frutta, ai dolci. Le parole vengono «assaggiate», soppesate, ricomposte in imprevedibili «misticanze», in pagine colorite e saporite. Non possiamo però dimenticarci delle parole della poesia. Lo facciamo segnalando un pregevole saggio di Giuseppe Zoppelli, Etica della parola poetica (Campanotto). L'autore spiega che la poesia non deve anteporre la parole al discorso perché, nella fobia del significato, rischia di cancellare ogni valore etico. In altre parole, con l'arte e la letteratura noi cerchiamo di compiere «un'esperienza di verità», anzi la poesia è il luogo della verità umana, espressione della condizione umana. La scommessa è di riuscirci.

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