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Il partito delle astensioni rialza la testa

Sembra, dunque, rialzare la testa il partito delle astensioni, che ha sempre avuto una sua consistenza pur senza condizionare pesantemente la scena politica italiana. Il meno 9 per cento delle 22 di ieri – rispetto alle regionali del 2005 – rende inquieti tutti i dirigenti politici, a Roma e nei centri dove si vota.
Perché migliaia e migliaia di cittadini hanno disertato le urne? Possono elencarsi motivi politico-ideologici e ragioni pratiche. La crisi globale morde le famiglie e non induce la gente stanca a stringersi intorno alle istituzioni rappresentative. Può sembrare che la politica non offra progetti e speranze e allora ci si rifugia in un privato rancoroso.
E c’è la specificità italiana. Una campagna elettorale velenosa e attraversata da correnti d’odio, conclusa sotto il segno di una violenza, palese e virtuale, certamente preoccupante. I temi dello sviluppo e delle esigenze di 13 regioni e di tante città sono stati sovrastati e annullati da anatemi ed insulti, propri di un Paese in disfacimento e non di una società inquieta ma pur sempre tenace e vitale qual è quella italiana. Tanti elettori, di fronte a una contesa deprimente, hanno deciso di disertare le urne. Probabilmente se ne pentiranno, ma per ora la situazione è questa.
Le ragioni pratiche. C’è stato il piccolo scompiglio del passaggio all’ora legale e anche il concorso di una giornata climaticamente decente, dopo la coda di un inverno crudo e uggioso. Queste concomitanze potrebbero aver influito in minima parte sulla crescita dell’astensionismo nella prima giornata di voto, ma sarebbe un pessimo politico chi si aggrappasse a questi fuscelli per non guardare la trave della diminuita credibilità.
Da quali sponde politiche provengono i rinunciatari intristititi? È presto per dirlo, occorrerà l’analisi dei flussi elettorali valutati sulla base dei risultati definitivi. Ad ogni modo, i dirigenti dei maggiori schieramenti sperano che la disaffezione per le urne eroda soprattutto i consensi degli altri.
Per i principali contendenti la posta in gioco è alta, supera il problema del governo di regioni e città. Questo voto amministrativo ha una spiccata valenza politica. Berlusconi e il centrodestra puntano sulla prosecuzione dell’onda politica avviatasi nell’aprile del 2008, sperano che sia lunga e vigorosa. Il centrodestra governava 2 delle 13 regioni in cui si vota ed è prevedibile che le aree d’influenza comunque cresceranno. Se anche il centrodestra dovesse conquistare anche una sola regione in più, potrebbe dire avere sconfitto l’avversario. Ma lo schieramento guidato da Silvio Berlusconi più che vincere di misura sul piano dell’aritmetica, deve convincere. Il governo di Roma è al sicuro, blindato dai cento rappresentanti in più alla Camera, ma è indubbio che per la coalizione di maggioranza queste regionali assumono il valore che in altri sistemi hanno le cosiddette elezioni di medio termine.
Ancora più inquieti sono Bersani e gli altri esponenti del Pd. L’attuale segretario del partito spera in un’inversione di tendenza, ma la sua leadership sembra opaca, incapace di ridare slancio alla formazione. E la stanchezza dei dirigenti, di solito, si trasmette agli elettori. Il centrosinistra enfatizza il duello, al Nord, fra Pdl e Lega e minimizza il rapporto fratelli-coltelli che ha con Di Pietro. Il Pd deve guardarsi da due competitori: quello fisiologico, il centrodestra, e quello che con leggerezza si sono tirati in casa, appunto il giustizialismo dipietrista.
Ci sono parecchi spunti per appassionarsi ancora alla contesa e sfruttare le ultime ore di apertura dei seggi.

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