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Se Bersani e Berlusconi scendono in piazza

Pierluigi Bersani sarà in piazza domani col Popolo Viola a difendere la democrazia dall'ennesimo agguato del Caimano (come lo chiama ormai anche un uomo abitualmente prudente come Walter Veltroni). Silvio Berlusconi, togliendosi la giacca di presidente del Consiglio per indossare il pullover di capo del PdL, ha deciso di contrattaccare sullo stesso terreno. Ritiene di avere a disposizione il cocktail ideale (ingiustizia dei magistrati sommata a quella dell'opposizione) servitogli dal pasticcio delle liste per giocare la sua carta preferita: la scelta di campo. O di qua o di là, o i «liberali» o gli «statalisti di vecchio stampo» e così via. Dobbiamo rassegnarci a vedere «Piazza a piazza» al posto di «Porta a porta» oppure possiamo sperare che accanto alla propaganda ci sia posto anche per i contenuti? Può darsi che il Popolo Viola aiuti Bersani e che la «piazza della Libertà» aiuti Berlusconi. Eppure la storia insegna ad entrambi che il contrasto fisico (certe parole pesano più d'un cazzotto) serve a poco se non è affiancato ad argomenti più collaudati. Si aggiunga che Bersani ricorda benissimo la memorabile decisione assunta dal Parlamento nel 2006 quando per la prima volta fu eletto al Quirinale un dirigente storico (e certo non pentito) del Partito comunista italiano. Giorgio Napolitano in questi anni si è comportato con Berlusconi meglio di Scalfaro e perfino di Ciampi, anche se motivi di contrasto non sono certo mancati. Ma immaginare che intenda favorire il Cavaliere significa non conoscerne né la storia, né il carattere. Il fatto che Bersani sia costretto a dividere il palco con Di Pietro che considera il presidente della Repubblica complice di un eversore, la dice lunga sulla crisi di identità in cui si dibatte il Partito democratico. Si aggiunga che chi vota per una giunta regionale è molto interessato a conoscere in dettaglio i programmi dei candidati su temi cruciali, dalla sanità al piano casa al sostegno sussidiario per le aziende in crisi. È dal 2002 che con Nanni Moretti sono cominciati i girotondi contro Berlusconi e questo non gli ha impedito di riprendersi con cento seggi di maggioranza nel 2008 il potere che aveva lasciato (d'un soffio) appena due anni prima. E veniamo a Berlusconi. Il contrasto, abbiamo detto, lo premia. Ma nel 2001 lui vinse le elezioni politiche con la promessa di ridurre le imposte e di sbloccare le opere pubbliche che un miope ambientalismo aveva paralizzato da decenni. Nel 2006 le ha perse soltanto per 24mila voti con la promessa (poi mantenuta) di eliminare per tutti l'Ici sulla prima casa. Nel 2008 le ha rivinte senza promesse roboanti, ma assicurando una soluzione rapida all'emergenza rifiuti di Napoli, rilanciando il programma di grandi opere pubbliche e le riforme di settori - a cominciare dalla scuola - che rendono il Paese debolissimo in campo internazionale. Berlusconi ha dalla sua i successi di Napoli e dell'Aquila, la riforma Gelmini di cui ancora pochi capiscono la portata, la mediazione giudiziaria ancora sotto traccia ma in grado di abbreviare enormemente il contenzioso civile, il sostegno «ideologico» prima che pratico, alle grandi opere pubbliche. E soprattutto la gestione della crisi economica e sociale che potrà piacere o non piacere, ma che in Europa non ha avuto molti esempi migliori. Naturalmente il governo ha avuto anche ritardi e inadempienze e ha perso troppo tempo sulle questioni giudiziarie, ma siamo ormai abituati da dieci anni alla guerra tra «processi ad personam» e «leggi ad personam». L'elettorato per sua natura non guarda alle cose fatte, ma a quelle da fare. Il «piano casa» lanciato dal governo, ma di fatto in mano alle regioni, è una formidabile occasione per dimostrare come i candidati presidenti intendono gestirlo. E visto che ieri è stata lanciata la Banca del Mezzogiorno, in attesa che Tremonti vi depositi i suoi soldi, come ha promesso, sta al presidente del Consiglio dimostrare che non si tratta di un carrozzone, ma di un vero strumento di sviluppo. Gli elettori sono sempre più intelligenti di quanto non immaginino i politici e anche di quanto non pensiamo noi giornalisti. Qualcuno voterà seguendo i suggerimenti della pancia. Ma la maggior parte chiederà al cervello che cosa cambierà nella sua regione e nella sua vita se vinceranno gli uni o gli altri.

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