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Tav, la maggioranza silenziosa che comincia a reagire

Se guardassimo solo ai numeri, dovremmo concludere che hanno vinto i No-TAV: in ventimila hanno marciato sabato a Susa contro la realizzazione della linea ad alta velocità Torino-Lione, poco più di mille hanno partecipato ai raduni Sì-TAV organizzati ieri a Torino, prima al Lingotto e poi in un albergo del centro, dai sostenitori del progetto dei due schieramenti politici. Per ora non c'è dunque stata, almeno in termini numerici, una riedizione della storica "marcia dei quarantamila", che trent'anni fa pose fine a uno sciopero a oltranza della Fiat e segnò una svolta storica nelle relazioni industriali. Ma, in un Paese in cui le manifestazioni hanno quasi sempre lo scopo di opporsi a qualcosa, il fatto che un certo numero di persone - di sinistra e di destra - abbiano invece speso la loro domenica per appoggiare la costruzione di una infrastruttura «perché è nell'interesse dell'Italia» è egualmente molto importante: significa che quella maggioranza silenziosa che non ne può più dei veti con cui minoranze chiassose continuano, in tutta Italia, a bloccare progetti di sicura utilità comincia a reagire; significa che una parte dell'opinione pubblica si sta finalmente rendendo conto che, se continuiamo a permettere che interessi localistici e settoriali ritardino all'infinito il miglioramento delle nostre infrastrutture, siamo destinati a diventare il fanalino di coda della UE, il Paese che per miopia non esita a bloccare anche progetti di interesse europeo come il famoso Corridoio 5 da Lisbona a Kiev.
Nel caso della TAV, questa presa di coscienza arriva in ritardo, perché non serve a fare recuperare il troppo tempo perduto e comunque - opposizione o no - i lavori preparatori sono finalmente cominciati. Ma, se la manifestazione facesse scuola, se l'esempio di quei mille piemontesi fosse seguito anche in altre regioni affette da problemi simili, si potrebbe avere un impatto positivo anche a livello nazionale. La nascita di un movimento popolare favorevole alla realizzazione dei numerosi progetti che oggi sono su un binario morto per l'opposizione di piccoli gruppi, spesso collegati all'estrema sinistra, potrebbe cioè servire a risolvere situazioni altrimenti destinate ad incancrenirsi.
C'è, soprattutto, una sfida che bisognerà vincere se vogliamo che l'Italia rimanga competitiva: quella del ritorno al nucleare. Il governo ha avuto il coraggio di infrangere il tabu del referendum dell'86 e di varare un programma che ci dovrebbe consentire di ottenere, nel giro di un decennio, un quinto del nostro fabbisogno energetico da questa fonte "pulita", ma per ora ha convinto - secondo i sondaggi - solo la metà dei cittadini. L'altra metà resta profondamente ostile. È bastato che i media pubblicassero un elenco - poi risultato falso - delle località in cui dovrebbero sorgere le nuove centrali per scatenare un putiferio. Quando la scelta verrà fatta sul serio, bisognerà aspettarsi la nascita di gruppi di pressione in confronto ai quali il NO-TAV sembrerà uno scherzo; e potergli contrapporre un movimento SI-Atomo potrebbe diventare fondamentale.
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