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Quei reportage dai luoghi difficili

Storie di povertà, contraddizioni e di vittime del terrorismo raccontate da giornalisti

Faceva il giornalista, Jaume Sanllorente, e non era mai uscito dalla sua Catalogna. Un giorno decide di andare in India per un breve soggiorno, ma rimane colpito dal dolore della gente di quel grande Paese. In un libro racconta la sua scelta di vita, I sorrisi di Bombay (Rizzoli), e racconta della Torre del Silenzio, dove i seguaci della religione zoroastriana fanno divorare i loro morti dagli avvoltoi; descrive la sua iniziazione indiana a Delhi, Agra, Benares, Kathmandu, gli interminabili «spettacoli» di povertà, i mendicanti lebbrosi che si aggrappano alla sua camicia, i bambini affamati e cenciosi ovunque. Il giovane giornalista scopre la realtà di una delle società più povere al mondo, anche se gli economisti parlano dell'India come di un paese «emergente». Non riesce a vedere che bambini affittati dai mendicanti come strumenti di lavoro, ragazzini cui vengono amputate le gambe perché guadagnino di più chiedendo l'elemosina, bambine prostitute controllate da sfruttatori senza scrupoli. Per tutte queste ragioni (e non solo) Jaume decide di cambiare la sua vita, per dedicarla ai poveri e, lasciata Barcellona, fonda l'ong «Sorrisi di Bombay». Si propone di aiutare gli orfani delle periferie, dar loro un'istruzione, garantire agli ammalati di lebbra emarginati un'assistenza sanitaria. Ma non sarà facile:dovrà continuamente lottare contro chi lo ostacola, contro chi si arricchisce sulla pelle dei più poveri. Quella raccontata, con dolore e gioia, è una storia vera di un giornalista che, abbandonato il suo mestiere e la sua famiglia, scopre una nuova missione, più gratificante: quella di servire i più poveri, senza pensare in alcun modo a diventare santo.
Dall'India alla Cina un'analisi di un'altra società, caratterizzata da grandi contraddizioni. Se ne occupa Fabio Cavalera nel libro Repubblica impopolare cinese (Bompiani). Della Cina sappiamo sempre troppo poco. È noto che ormai questo grande Paese è al terzo posto nel mondo come sviluppo economico e che fra non molto riuscirà a scavalcare persino gli Stati Uniti. Ricordiamo spesso che il suo regime comunista post maoista ha sposato le regole del mercato e, in generale, del capitalismo. Ma quando si parla di Cina, Cavalera (che ha fatto per quattro anni il corrispondente del Corriere della Sera da Pechino) ricorda che non si deve mai dimenticare che rimane irrisolta la questione dei diritti umani e che migliaia di cittadini subiscono il carcere, le torture, le violenze «solo perché si oppongono pacificamente ai soprusi e alle ingiustizie». Non sono argomenti nuovi: fanno parte ormai del repertorio quotidiano delle denunce delle violenze,delle persecuzioni etnico-religiose da parte del regime, con i laogai, la politica del figlio unico e la repressione contro i dissidenti di ogni tipo, compresi i cybernauti. La Grande Cina si nutre anche di questi orrori.
Dalla Cina a Israele per parlare delle vittime del terrorismo islamico. Il giornalista Giulio Meotti ha accuratamente ricostruito nel libro Non smetteremo di danzare (Lindau) la lunga scia di sangue provocata dal terrorismo dei fondamentalisti musulmani. Persone uccise per il solo fatto di essere ebree: uno stillicidio di morti inaugurato nel 1972, alle Olimpiadi di Monaco, quando 11 atleti israeliani vennero trucidati da un commando di palestinesi di «Settembre nero». Da allora migliaia di morti, una carneficina mascherata tra i fatti della «questione palestinese», ma la vera causa va ricercata nell'antisemitismo. Di questo si ritrova un riscontro anche nelle parole dei parenti delle vittime, riportate in questo libro: parole che vanno al di là della sofferenza e del dolore per i lutti subiti.

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