WASHINGTON. Un elogio della diversità, una difesa della libertà di stampa e un duro atto di accusa contro l'umiliazione dei più deboli: Meryl Streep ha usato il palcoscenico mondiale dei Golden Globes, dopo aver ricevuto quello alla carriera, per lanciare un pesante affondo contro Donald Trump, pur senza mai nominarlo.
L'attacco ha spinto il tycoon a reagire stizzito, alla vigilia delle audizioni in Senato per la conferma dei suoi ministri, prima liquidando la star sul Nyt come una "Hillary lover" e poi twittando che è "una lacchè di Hillary che ha perso grosso", nonché "una delle attrici più sopravvalutate di Hollywood", ignorando la sua collezione di Oscar, nomination e premi internazionali.
Uno scontro che si proietta su uno sfondo più ampio, con il mondo dello star system quasi tutto ostile al magnate, tanto che alla sua cerimonia di inaugurazione ci sarà solo un cast di sconosciuti dopo i forfait dei big, Bocelli compreso. Meryl Streep ha preso di mira Trump per aver pubblicamente deriso, imitandone i gesti, un reporter disabile del Nyt, Serge Kovaleski. Una "performance" interpretata da "una persona che chiede di sedere sul posto più rispettato nel nostro Paese, qualcuno che è superiore in privilegi, potere e capacità di reagire". Una scena, ha proseguito commossa, che "mi ha infranto il cuore e che ancora adesso non riesco a togliermi dalla testa perché non era un film. Era vita reale".
Poi la stoccata: "Questo istinto ad umiliare, quando è esemplificato da qualcuno di potente su un palcoscenico pubblico, filtra nella vita di tutti perché è come dare il permesso a chiunque di fare la stessa cosa. La mancanza di rispetto invita alla mancanza di rispetto, violenza chiama violenza", ha denunciato, ammonendo sui rischi del "bullismo" esercitato da un potente. Nella sua replica, Trump ha tentato di negare l'episodio: "Ho semplicemente dimostrato il suo 'servilismo' quando lui ha cambiato completamente una storia che aveva scritto 16 anni fa per farmi apparire in cattiva luce".
Ma le immagini lo inchiodano. L'attrice ha fustigato il tycoon anche su altri terreni, come quello della diversità, passando in rassegna l'origine non americana di molti colleghi (tra cui "Amy Adams, nata a Vicenza, Veneto, Italy") e sottolineando che Hollywood "sta avanzando con outsider e stranieri: se li cacciassimo, non ci restererebbe altro da vedere che il football e le arti marziali, che arti non sono". Meryl Streep ha infine difeso dai ripetuti attacchi di Trump la stampa, ora uno dei settori "più denigrati nella società americana", insieme a Hollywood e agli stranieri.
"Abbiamo bisogno che la stampa mantenga il suo potere perché scriva e dia voce alle vittime di qualsiasi offesa", ha sottolineato, invitando a sostenere il comitato per la protezione dei giornalisti. La popolare attrice aveva già attaccato il magnate facendone a sorpresa la caricatura lo scorso giugno sul palco del Delacorte theater del Central Park, nel pieno di una campagna elettorale che l'ha vista schierata con Hillary Clinton. Ma l'ultimo affondo ha trasformato Streep in una vera icona anti Trump, capace di mobilitare la "responsabilità" civile degli artisti. E segnalato che tutta Hollywood, con i suoi applausi solidali, non ha digerito il nuovo presidente, a parte qualche apparente tentativo di dialogo, come quello di Leonardo di Caprio in campo ambientale.
Il tycoon comunque tira dritto per la sua strada e spera nella rapida conferma dei suoi ministri, che da domani affronteranno le audizioni al Senato. I Democratici provano a dare battaglia esigendo di avere prima tutta la documentazione di controllo sui nominee, dalle loro dichiarazioni finanziarie ai possibili conflitti di interesse, ma i repubblicani, che controllano il Congresso, non sono propensi a rinvii. Il Wp ammonisce poi sul rischio che molti consiglieri informali del 'governo ombra' di Trump possano eludere i controlli sui conflitti di interesse. Nel mirino anche l'imprenditore immobiliare Jared Kushner, genero di Donald Trump, che dovrebbe essere nominato consigliere senior del presidente: nel suo caso si teme anche una violazione della legge contro il nepotismo. Ma neppure Trump, a 11 giorni dall'insediamento, ha spiegato come si libererà dei conflitti di interesse per evitare di gestire la Casa Bianca al pari di un 'family business', come lo ha ammonito Obama.
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