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Un rituale stanco sulle dimissioni del Presidente della Repubblica

Si è aperto un dibattito intempestivo. Le emergenze del Paese sono altre

La reiterata ritualità della politica italiana di non saper captare le istanze e i problemi reali della gente trova nuova linfa nello stucchevole e intempestivo dibattito già lanciato sulla successione a Giorgio Napolitano. Che di sue dimissioni anticipate, pur fatte ventilare già ai tempi della sua elezione bis, non ha mai parlato in questi giorni, neanche indirettamente. Eppure il dibattito è già lanciato e riempie gli spazi dei media tanto quanto i comunicati e le dichiarazioni dei politici dell’intero arco parlamentare. Fino a farne fatalmente la Questione, con l’iniziale maiuscola, del momento.

Ha senso? È logico? Al cospetto di temi di strettissima ed emergenziale priorità quali la crisi economica, quella internazionale o le scadenze sulla riforma del lavoro, ci ritroviamo ad assistere al balletto di candidature lanciate e bruciate, ipotesi di accordi, veti trasversali e voci di corridoio che poco - ne siamo ben certi - appassionano l’opinione pubblica, impegnata in ben altre onerose e gravose valutazioni del vivere quotidiano. Per non parlare del sostanziale poco rispetto mostrato nei confronti di un presidente richiamato a furor di popolo come mai nella storia della Repubblica e a dispetto della sua veneranda età.

Adesso invece se ne celebra la dipartita istituzionale, prima ancora che lui l’abbia comunicata.
Una strategica manovra diversiva delle segreterie politiche e di qualche organo di stampa interessati a deviare l’attenzione da temi ben più caldi e impellenti? Se così fosse, non sarebbe che la conferma di quanto in crisi sia il concetto di democrazia in questo Paese. In cui un problema da affrontare è sempre un fastidio da risolvere fra una piega e l’altra di un bel dibattito sulle grandi teorie. Che garantiscono un po’ di visibilità oltre le nebbie delle vere emergenze, segnate sulla pelle di cinquanta e passa milioni di italiani.

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