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Caso Cucchi, parla il presidente della Corte:" Non c'erano prove"

Luciano Panzani difende l'operato dei giudici. Intanto, la famiglia Cucchi, invece, prepara un'azione legale nei confronti del ministero della Giustizia

ROMA. Polemiche, accuse e controrepliche al vetriolo. È una giornata rovente quella che segue la sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma ha assolto per insufficienza di prove tutti gli imputati nel processo Cucchi, il geometra romano morto nel 2009 dopo essere stato arrestato per droga.

Il presidente della Corte d'Appello, Luciano Panzani, difende l'operato dei giudici ribadendo la mancanza di prove e invita ad evitare la «gogna mediatica». «Il giudice penale - spiega - deve accertare se vi siano prove sufficienti di responsabilità individuali e in caso contrario deve assolvere».

La famiglia Cucchi, invece, prepara un'azione legale nei confronti del ministero della Giustizia, mentre Ilaria, la sorella di Stefano, non molla. «Mi devono uccidere per fermarmi», dice.  Da parte dei sindacati di polizia arriva un nuovo duro commento, sulla falsariga di quello diffuso ieri dal Sap. «Se si vogliono sondare le ragioni di certe sciagure - scrive il Coisp - si guardi prima di tutto altrove, magari in famiglia». Intanto il sindaco di Roma, Ignazio Marino, conferma che il Campidoglio è al lavoro per intitolare una strada o una piazza a Stefano Cucchi, decisione che ieri era stata osteggiata dal Sap.  La vicenda Cucchi, dunque, è tutt'altro che chiusa. I legali della famiglia - che oggi hanno di nuovo criticato l'andamento del processo di primo grado con le «imbarazzanti contraddittorietà della perizia» che mai avrebbero potuto «reggere a un vaglio severo e giusto da parte dei giudici di seconda istanza» - attendono le motivazioni della sentenza per poi preparare il ricorso in Cassazione e chiederne l'annullamento.

L'altro passo sarà un ricorso alla Corte Europea. Nel frattempo, annuncia però l'avvocato Fabio Anselmo, «intraprenderemo anche un'azione legale nei confronti del ministero affinchè si possa riconoscerne la responsabilità rispetto alla morte di Stefano». Secondo la difesa, infatti, da entrambi i processi emergerebbe che comunque un pestaggio nelle celle del Tribunale c'è stato e quindi si chiama ora in causa il ministero della Giustizia affinchè riconosca la sua responsabilità dal punto di vista di un risarcimento danni. Una linea dura, che fa il paio con quelle di Ilaria Cucchi che definisce la sentenza d'appello come «il fallimento della procura di Roma». «Non ce l'ho con i giudici di appello - afferma - ma adesso da cittadina comune mi aspetto il passo successivo e cioè ulteriori indagini, cosa che chiederò al procuratore capo Pignatone. Mio fratello è morto e non si può girare e indovinare chi è stato, devono dircelo loro».

Critiche alla sentenza d'appello sono arrivate anche dal mondo dello spettacolo, da Saviano a Fedez, e da diversi esponenti politici, con il Movimento 5 Stelle tra i più severi. «I cosiddetti servitori dello Stato - afferma la senatrice Barbara Lezzi - sono l'ulteriore vergogna di un Paese che non merita neppure che le istituzioni richiamino all'onore del silenzio coloro che dovrebbero garantire tutela e sicurezza ma che preferiscono coltivare autoreferenzialità». Dal Nuovo Centrodestra Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Esteri della Camera, parla di «triplice sconfitta: per la magistratura, per le istituzioni e per la civiltà del nostro Paese». Il pentastellato Vito Crimi, infine, propone l'introduzione del reato di tortura e l'adozione di «sistemi di identificazione certa degli agenti in servizio».

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