Nell’intervista a Roberto Salerno, dottore di ricerca in Scienze Politiche e relazioni internazionali che collabora con le riviste inTrasformazione e Jacobin, si considerano le conseguenze dell’epidemia sulla nostra società: dal modo di intessere le relazioni alle amplificate disuguaglianze sociali, e dalle nuove tensioni tra generazioni alle maniere inedite con cui ci si avvicina alla morte. Difficile fare deduzioni assolutistiche, poiché, come dice Salerno, “è una cosa del tutto nuova nella storia del genere umano”, quella con cui ci troviamo a che fare, “anche le grandi epidemie del passato riguardavano degli ambiti geografici abbastanza circoscritti, dunque le modalità con cui la società proverà a rispondere a questa sfida sono del tutto sconosciute”.
“L’essere umano rimane un animale sociale”, continua Salerno, e preoccupa il fatto che la socialità venga tramortita dai provvedimenti, ma “al momento i legami sociali sembrano tenere. Per quanto lo faranno non lo sappiamo, degli scricchiolii si intravedono: le discussioni sempre più accese, la gente più impaurita”. A gravare ci sono poi le nuove tensioni, come quelle che insorgono nel rapporto fra le diverse generazioni, causate dal “continuo puntare addosso alla movida, alle discoteche e alle modalità di divertimento, dire che lo sport non è un’attività essenziale: tutte cose che colpiscono la fascia giovanile della popolazione”, e dall’aumentare delle disuguaglianze sociali.
“I dati sulla situazione economica sono drammatici”, afferma poi il dottore. “Nel mezzogiorno, per quanto le persone messe in regola continuino ad essere la maggioranza, la minoranza di lavoratori in nero è molto ampia e si è trovata schiacciata dal provvedimento, non avendo nessun modo per ricostituire un reddito decorso”. Ma quella economica è solo una delle sfide a cui la società deve rispondere, e senza una vera e propria traccia da seguire, dato che, come dice Salerno, “qualsiasi raffronto con il passato lascia il tempo che trova”. Quello che è certo è che a sopravvivere sono coloro che sanno adattarsi, e il dottore invita a considerare la realtà in cui viviamo già una forma di normalità, poiché se le “cose straordinarie si protraggono nel tempo non saranno più straordinarie, saranno la normalità”. “Il problema non sta nel fatto che il cambiamento ci piaccia o meno”, continua Salerno, “il problema è che questo tipo di società non sembra essere fatta per accompagnare i più deboli, coloro che hanno più difficoltà nell’adattarsi”.
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