Venti anni di musica condensati in una manciata di minuti. «Uno spettacolo nello spettacolo per raccontare la mia storia». Cesare Cremonini ha fatto le cose in grande per il suo primo festival di Sanremo, da cui finora si era tenuto alla larga. «Ai tempi dei Lunapop nel 2000 non ci presero, e oggi dico che è stato meglio così. Non ero pronto, ero immaturo per affrontare questo palco. Fu giusto escluderci. Poi uscì Un giorno migliore ed esplosero i Lunapop». La band bolognese non durò molto, la favola di Cremonini invece sbocciò. Per riannodare i fili di 20 anni di carriera il cantautore ha scelto il palco di Sanremo. «Penso di essere uno dei pochi, forse l’unico, che va a Sanremo come superospite senza mai averci messo piede. La mia vita professionale non è separata dalla tv, ma non vi ho mai fatto affidamento. La mia comunicazione sono sempre stati i dischi. Ora ho sentito che era il momento giusto per farlo: è la storia che racconto che guida le mie scelte». La sua storia, dunque, «che va raccontata tutta insieme. Con uno sguardo rivolto al passato ma anche al futuro. È come se avessi piantato una bandierina sulla montagna, ma ora sono pronto ad andare avanti. Il primo Sanremo, come il primo San Siro, è un momento clou, un momento cardine della mia carriera, non è solo una vetrina. E poi uno come me ci va due volte al festival: prima che i capelli diventino bianchi e poi con molti capelli bianchi». Lo show nello show parte, e non avrebbe potuto che essere altrimenti, dai portici di Bologna proiettati sul sipario dell’Ariston, «sono loro che custodiscono i segreti di Bologna». Da Nessuno vuole essere Robin a Poetica, passando per Marmellata 25, Logico, La nuova stella di Broadway, Cremonini affronta i brani che hanno segnato la sua carriera, guadagnandosi la standing ovation del pubblico in sala. «E non è stato facile, ma a guardare da fuori sembrano uniti da un unico filo». Lo show, costruito come fosse un concerto in pillole, «è anche il modo per scaricare tutta l’energia accumulata in questi due anni». Perché è dal 2020 che Cremonini attende di tornare in tour. E il cantautore bolognese sale sul palco anche per «comunicare una necessità strutturale del mondo dello spettacolo in questo momento: la ripartenza dei concerti deve essere una riflessione concreta e urgentissima. Altrimenti non possiamo più dirci un Paese unito». Poi Cremonini all’Ariston si regala un secondo momento più intimo, in cui presente e passato si incontrano, in cui Cesare adulto si riappropria il Cesare ragazzo. Al piano canta il nuovo singolo La ragazza del futuro, che anticipa l’album che porta lo stesso titolo in uscita il 25 febbraio. Un disco che è figlio della pandemia, «che ci ha imposto alcune riflessioni, anche sul perché facciamo questo mestiere. La frammentazione del pubblico in follower fa diventare il cantante un juxe-box a imbuto. A me è una situazione che va stretta. Non è la qualità a determinare il successo, ma un algoritmo. E allora se non sono più i numeri che contano, diamo valore al perché stiamo facendo quello che stiamo facendo». Poi, con un balzo indietro di oltre 20 anni, 50 Special. Ma si riconosce ancora in quel 18enne che andava «in giro per i colli bolognesi»? «Non c'è pericolo che non mi riconosca ancora in quel ragazzo e in quella canzone, che non è giovanilista, ma è realmente giovane, e per questo piace ancora. Possiede un lato di spensieratezza e libertà. È semplice, ma dalla semplicità parto per tornarci passando per un tragitto di scoperta ed esplorazione. Oggi 50 special può parlare di se stessa molto serenamente». «Avevo 18 anni quando ho iniziato, dagli 11 sognavo di cantare. Ma non ho mai pensato di arrivare dove sono ora. Sono stato fortunato: e ora davanti a me ho la libertà di fare quello che amo e desidero perché non ho più riferimenti né limiti».