Pescherecci mazaresi sequestrati in Libia, Musumeci: "È un atto di pirateria"
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Dopo un mese, dei 18 pescatori di Mazara del Vallo imprigionati a Bengasi, in Libia, non si hanno notizie. I parenti sono stati a protestare a Roma, incatenandosi per giorni alle ringhiere che delimitano piazza Montecitorio, sono stati ricevuti dal Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e hanno dialogato a lungo con la Farnesina, ma non sembra ancora esserci una soluzione vicina a quella che il Sindaco di Mazara del Vallo Salvatore Quinci ha definito “una situazione dai connotati preoccupanti”. Di casi come questi Mazara del Vallo ne ha già conosciuti, ma “in genere tutto si risolveva con una sanzione e il repentino ritorno a casa sia degli uomini sia dei pescherecci”, commenta ancora il Sindaco, che non ha dubbi che le accuse mosse ai marittimi - il presunto ritrovamento di droga a bordo dei pescherecci - siano false: “i nostri uomini erano lì per lavorare, per pescare. Una battuta di pesca che doveva durare per 40-50 giorni, si sta trasformando in un fermo presso una palazzina militare a Bengasi”. Un fermo che il Presidente della Regione Nello Musumeci definisce quasi come un atto di pirateria: “qui nessuno vuole contestare agli stati nordafricani di difendere le loro acque, anche se il confine di quelle acque rimane ancora incerto, ma ci sono 18 uomini che devono rendere conto alle loro famiglie delle loro condizioni: ci si diano le condizioni di salute dei 18 pescatori mazaresi, si consenta un collegamento verbale, telefonico”, dice Musumeci, che nel frattempo ha concordato delle iniziative insieme al Sindaco Quinci, al Presidente del Consiglio Comunale di Mazara del Vallo e alle famiglie dei 18 pescatori. “Continueremo a pressare sul governo centrale, ma crediamo anche che ci sia una palese violazione del diritto internazionale”, commenta Musumeci, “riteniamo inoltre la rappresentanza parlamentare siciliana può fare qualcosa in tal senso. Lo stesso chiediamo agli euro deputati perché intervengano sulla commissione di Bruxelles, abbiamo a che fare con un caso che coinvolge il rapporto tra gli stati”. Nel frattempo cresce l’apprensione delle famiglie, aggravata secondo Quinci dallo stato della trattativa “che ci dicono sia partita, ma della quale non abbiamo alcun segno evidente: è questo che genera un profondo senso di frustrazione”. È infatti una delle madri degli uomini detenuti a Bengasi a sfogarsi: “non ce la facciamo più: non c’è una telefonata, una foto. Come si va a casa senza sapere nulla dei nostri figli, dei nostri padri e mariti? Qui non si dorme più, si sta sempre con il pensiero a tutti i pescatori”. Video di Virginia Cataldi