FIRENZE. Si ritrovavano in piazza Beccaria, davanti al cinema Metropolitan, chiuso quest'anno sotto il nome di Astra 2. Poi andavano al bar Necchi, oggi il 'Negroni' uno dei locali più alla moda, e in piazza Santa Croce, in giro per la città di Firenze passando per il piazzale Michelangelo. Erano le avventure di quattro inseparabili amici d'infanzia fiorentini, sulla cinquantina, che affrontavano i loro disagi con scherzi a danno di malcapitati, protagonisti del film Amici Miei di Mario Monicelli, uscito al cinema il 10 agosto del 1975.
Oggi a 40 anni dalla sua uscita al cinema sarà proiettano a Firenze sulla facciata della basilica di Santo Spirito nell'omonima piazza (altra location del film) come omaggio al regista che quest'anno avrebbe compiuto 100 anni. «Amici miei - ha detto Leonardo Pieraccioni, commentando l'omaggio fiorentino - è la perfezione totale: dalla sceneggiatura agli attori, dalla regia alla scenografia. È un tondo perfetto ed uno di quei film ipnotici che se lo becchi alle tre di notte in qualche canale non puoi che arrivare in fondo».
E sull'incontro con Monicelli, Pieraccioni racconta «l'ho conosciuto a Viareggio per la festa dei suoi 80 anni. Una persona intelligente, senza fronzoli, attento ed essenziale come pochi».
Monicelli è stato a Firenze l'ultima volta a gennaio del 2010 al Teatro del Cestello, occasione in cui scherzosamente commentò il prequel di Amici Miei, in quel periodo in corso d'opera per la regia di Neri Parenti, affermando: «e perchè dobbiamo fermarci solo a tre?». Animo scherzoso, con un pizzico di sana
e nera cattiveria, Monicelli metteva nei suoi personaggi insieme al sorriso la smorfia amara della vita. E così nacquero gli «amici miei», oggi scomparsi, come Ugo Tognazzi detto il conte Mascetti; Philippe Noiret in veste del giornalista Giorgio Perozzi, Duilio del Prete come Guido Necchi e Adolfo Celi che interpretava Alfeo Sassaroli. In vita rimane Gastone Moschin, alias Rambaldo Melandri, che vive in un paesino in provincia di
Terni e che si è ritirato a vita privata.
A ricordare il film cult anche Giovanni Veronesi «la prima volta che ho visto Amici Miei - ricorda il regista - coincide con la prima volta che ho provato invidia. Quello è davvero un film che avrei voluto fare io e scriverlo. Quella sceneggiatura è geniale. Germi stava per fare un altro gran film: Monicelli però, come accade nella nostra vita alle volte, si è trovato nel posto giusto e da grande autore qual era ne ha fatto un
capolavoro. Mario per me è sempre stato un faro illuminante».
Anche Alessandro Benvenuti ricorda come «Amici miei ha cambiato la percezione di Firenze e dei fiorentini agli occhi dell'Italia cinematografara. Ha reso cioè adulta, per quanto infantile resti tuttora sotto molti aspetti, la 'fiorentinitudine'.
Da lì in poi Firenze, come già Roma, Napoli e Milano facevano, ha cominciato a produrre a livello nazionale comici di razza e non». E poi il ricordo di Chiara Rapaccini, vedova e compagna del regista viareggino. «Ho conosciuto Mario - ha raccontato - proprio sul set di Amici miei nel 75. Ero una studentessa e per guadagnare qualcosa, facevo la comparsa. Piacqui a Mario però l'amore nacque più tardi e così una lunga vita insieme». E sul film Rapaccini ha detto «Amici miei riguarda la morte: in pochi lo dicono, si preferisce parlare del film solo come una serie di straordinarie zingarate, toscane doc. Ma Mario lo diceva sempre. I protagonisti sono adorabili vitelloni che cercano di non pensare alla vecchiaia e alla morte, rimuovendo la realtà delle loro vite a volte miserabili e giocando come bambini».
Di Amici miei, oltre allo spirito è rimasto anche lo sceneggiatore, Lorenzo Baraldi che ha detto: «È un inno alla vita perchè i suoi personaggi sono dei Peter Pan che non diventeranno mai dei saggi. È un film mondiale perchè le generazioni non l'hanno mai cancellato, anzi oggi ricordano battute e sketch come se fossero stati sul set, con lo stesso spirito».
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