PALERMO. Sosteneva Goethe che «la vita è troppo breve per bere vini mediocri». E anche per produrli. Forse per questo i viticultori siciliani, stanchi di lavorare soprattutto per irrobustire certi pallidi vini del nord, circa un ventennio fa hanno cominciato a produrre - e a bere – dei rossi. Sempre più grandi, come l’elegante nettare color passione che produce il territorio più modaiolo, l’Etna. Oggi beccheggia in mare aperto il buon vino siciliano nel tradizionale appuntamento annuale con la Guida, giunta al traguardo della decima edizione e svelata ieri, durante la cerimonia di presentazione che si è svolta a Villa Igiea: sarà in vendita da oggi a cinque euro (più il prezzo del quotidiano).
Centoventi le aziende coinvolte e oltre 600 i vini degustati. Risultati: 42 i vini a cinque stelle selezionati e nove quelli, tra bianchi e rossi, del Decennale, cioè quelli che nel corso di questi anni sono stati premiati almeno cinque volte con le cinque stelle. La Guida 2017 è più piccola e parla italiano e inglese: la Sicilia da bere piace anche oltre i confini e sull’export si punta molto.
Sfogliare il volume è come intraprendere una «gita» per scoprire nuovi modi di concepire e vivere il vino, a partire da dove tutto comincia, la vigna, fino a dove il mosto sboccia, ovvero la cantina: merito di vignaioli illuminati che hanno ripensato sguardo e sostanza del vino, e invocato un cambio di
passo. Mai come ora questo comparto dovrebbe concentrare impegno e investimenti nella risorsa turismo, della quale l’enologia è componente essenziale. Mai come ora gli attori istituzionali della rinascita dovrebbero investire nell’agroalimentare a 360 gradi, dal campo alla tavola, dalla cultura all’esportazione, alla comunicazione.
«Dieci anni sono un traguardo prestigioso, nessun quotidiano ha mantenuto così a lungo la pubblicazione di una propria guida. La nostra è una fotografia affidabile e credibile del
comparto del vino di questa regione», commenta Fabrizio Carrera, che ha curato la Guida con Gianni Giardina e Federico Latteri.
«Non bisogna dormire sugli allori, il pubblico deve investire pensando non solo all’innovazione ma anche all’immagine. Noi, aggiungendo quest’anno la versione inglese, forniamo uno strumento di conoscenza, anche attraverso la app che realizzeremo».
Spiega Giovanni Pepi, condirettore del «Giornale di Sicilia»:
«Anche quest’anno siamo qui con i signori siciliani del vino per fornire l’immagine di una Sicilia che funziona. In Sicilia si può fare impresa, e il mondo del vino con competenza ed estro, e senza stampelle, ne è una dimostrazione. Deve ancora capirlo la politica che, invece di creare sostegni, spesso pone ostacoli».
Passa il direttore della Fondazione Unesco, Aurelio Angelini che prepara la candidatura di «Mozia, isole dello Stagnone di Marsala e area vasta delle saline di Marsala, Paceco e Trapani», nella lista del patrimonio dell’Umanità: un sito misto fatto di archeologia e biodiversità.
Esulta Lucio Tasca d’Almerita che lì ha una parte delle sue vigne. Per l’assessore all’Agricoltura, Antonello Cracolici «il nostro è un successo giovane, il mondo del vino è vivo». Assolve la Regione: «Stiamo facendo la nostra parte, promuoviamo l’innovazione, investiamo nella viabilità rurale».In passerella anche i dieci superpremi rivelati ieri, un poderoso elenco di aziende e protagonisti. Ne fa parte Annamaria Sala per il miglio rapporto cantina-territorio con la sua azienda. Per capire, basta il nome: Gorghi Tondi di Mazara del Vallo, all’interno dell’oasi naturalistica del WWF, certificazione biologica:
«La natura più la rispetti, più è generosa. Puntiamo sull’unicità che ci regala il luogo in cui ci troviamo».
L’azienda Tornatore di Castiglione di Sicilia è risultata la migliore azienda emergente. A ritirare il superpremio, il titolare Francesco Tornatore, cavaliere del lavoro. Di … un altro lavoro, però: «Io sono un imprenditore di manufatti elettronici, al vino ci sono arrivato di ritorno, mio padre, infatti, curava dei terreni sull’Etna. Oggi dispongo di due cantine su 55 ettari di vigneti, la più grande vigna di Etna Doc. Io sono autoctono come i miei vitigni, il Nerello Mascalese e il Nero Cappuccio, il Carricante e
il Catarratto». C’è chi mette la faccia approdando da un’altra storia, da un’altra terra, il Piemonte. Come Mario Ronco, il miglior enologo, che è astigiano ma lavora al «Sagana» di Cusumano: «Il modo di lavorare, da un punto all’altro dell’Italia, è sempre lo stesso: molto in vigna, accurata selezione delle uve e poi il resto delle operazioni in cantina». Storie familiari, generazionali. Prendete Aldo Viola, miglior viticoltore, madre francese, padre alcamese. Scherza: “Non è più francese… E poi si è trattato di un ritorno alle origini, i suoi erano emigrati dalla Sicilia, poi mio padre l’ha conquistata con ottimi argomenti”.
Magari col vino:
«Che oggi per me è uno strumento per racchiudere sensazioni del nostro territorio, una cartolina ricca di emozioni da cogliere anche da lontano. Ho cercato il mantra del vino per ritornare all’energia primordiale del territorio».
Ecco la Guida, ricetta semplice semplice per riconoscere i vini buoni, puliti e giusti. E per premiare la verità nel bicchiere.
Immagini di Salvatore Militello
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