Sono trascorsi 49 anni e di quella breve esibizione rimbombano ancora gli echi. Sarà perchè fu l’unico duetto fra due immensi protagonisti della canzone italiana o perchè era rara la possibilità di ammirarli dal vivo a causa della decisione di entrambi di non fare concerti: Battisti già dal 1970, Mina lo seguirà nel 1978.
Gli otto minuti e ventitrè secondi del medley dei due artisti a «Teatro 10», andato in onda il 23 aprile 1972 nelle tv in bianco e nero di tutt'Italia, continuano a emozionare.
La Rai non sapeva che quella domenica sera stava trasmettendo un pezzo di storia della musica d’autore. Oggi all'Agi parla uno dei musicisti che accompagnarono Battisti e Mina, Massimo Luca.
Imbraccia una delle due chitarre (una Martin del 1951) che portò con sè al teatro delle Vittorie e racconta alcuni retroscena.
Come venne decisa la scaletta con la sequenza di sette canzoni?
"La scaletta ha qualcosa di misterioso e, al tempo stesso, di incredibile. Noi cinque della band ci ritrovammo alla stazione centrale di Milano per il treno notturno diretto a Roma del 22 aprile. Verso le 23 Lucio si presentò e ci diede un pezzo di carta con scritti dei titoli e ci chiese di concatenare le canzoni in base alle tonalità. L’unico che aveva uno strumento con cui provare qualche accordo ero io. Sul vagone letto, io e Gabriele Lorenzi, il tastierista che nelle immagini televisive dell’esibizione non si vede mai, ci inventammo questo medley (Insieme, Mi ritorni in mente, Il tempo di morire, E penso a te, Io e te da soli, Eppur mi sono scordato di te, Emozioni) che poi andò in onda. Lucio ci diede il suo benestare e andammo a dormire nelle nostre cuccette".
Qual è la cosa incredibile?
"Non abbiamo fatto una prova degna di tal nome. La mattina del 23 siamo arrivati a Roma, siamo andati subito al teatro delle Vittorie e nel pomeriggio abbiamo registrato - il programma non era in diretta - la sequenza delle sette canzoni con Lucio e Mina. Poco prima, con i due artisti abbiamo fatto una «prova a vuoto» nei camerini, più che altro per fare collimare il tempo di ingresso dei singoli brani. Nella realtà una prova generale non c'è mai stata. Mi ricordo Mina che mi passò davanti all’ingresso dello studio poco prima di andare in scena e mi chiese: 'Max, allora con gli accordi tutto bene?'. Io le risposi: 'Vai alla grande!', mentendole spudoratamente perchè quello fatto prima non poteva essere definita prova. Poi non vi fu una minima sbavatura. Buona la prima, non abbiamo dovuto rifare niente. Siamo stati bravi e fortunati".
Nelle immagini, all’inizio si vede un Battisti piuttosto impacciato...
"Lucio era una persona molto timida, con un carattere non facile. Non si sentiva a suo agio in mezzo a tante persone, stava meglio da solo".
Finita l’esibizione, realizzaste di avere compiuto un qualcosa di storico o no?
"Nell’immediatezza, assolutamente no. Per noi era un momento del nostro lavoro. Andare al teatro delle Vittorie dove andavano in onda gli spettacoli del fine settimana, è stata un’emozione. Vedendo i componenti dell’orchestra applaudire insieme al pubblico, personalmente ho avvertito una grande soddisfazione. Noi, in fondo, eravamo musicisti che venivamo dalla strada, non avevamo certamente studiato al conservatorio".
Dopo cosa successe?
"Lucio registrò da solo I giardini di marzo in playback. Era il singolo in promozione. Quindi tornammo alla stazione Termini e da lì a Milano, sempre in vagone letto".
Com'è entrato a far parte dei cosiddetti «cinque amici venuti da Milano», nella presentazione di Lucio Battisti?
"Nel 1971, Gianni Dall’Aglio (il batterista, ndr) diede il numero di telefono di casa mia a Battisti perchè lui cercava un giovane chitarrista «pratico», come si dice a Roma, per l’etichetta Numero 1, sua e di Mogol. Battisti amava cambiare musicisti, sentire nuove cose. Mi chiamò una sera, avevo 21 anni e abitavo ancora con i miei genitori. Mia madre disse che c'era un certo Lucio alla cornetta che chiedeva di me. Quando risposi e capì che dall’altro capo della linea c'era Battisti rimasi senza parole, tant'è che a lui parve che era caduta la linea. Spiegò che mi avrebbe fatto chiamare da Antonella Camera, la sua segretaria alla Numero 1. Dopo un paio di settimane venni convocato alla sede della Fonit Cetra per la registrazione di un brano di Battisti-Mogol però cantato da Bruno Lauzi, L'aquila. Ricordo il mio timore, anche perchè Battisti si piazzò dietro di me per battere la tumba con una mano e l’altra in tasca. Non vedendo il suo sguardo, non capivo se stavo andando bene o male. Chiesi lumi in regia, il produttore Claudio Favi mi rispose: 'Ma Lucio ti ha detto qualcosa?'. Io: 'No'. 'Allora sta andando bene, se no chi lo sente'. Passarono altre settimane e venni convocato per la registrazione dell’album Umanamente uomo, il sogno, con dentro I giardini di marzo, E penso a te, Comunque bella. Un capolavoro".
Fino a quando ha lavorato con lui?
"La mia collaborazione con Lucio Battisti è terminata dopo la registrazione di Anima latina, nel luglio '74".
E non ha avuto più contatti?
"No. L’ho rivisto per caso negli anni Ottanta. Mi trovavo in corso Buenos Aires a Milano, quando lo riconobbi seppure fosse molto cambiato. Lui ricambiò il saluto e mi disse: 'Oh, te sei ingrassato!'. Io risposi: 'Ma ti sei visto?'. Era molto più grasso di me. In quel momento, una giovane donna gli si avvicinò e cominciò a gridare: 'Battisti, il mio mito!'. Lui serafico le rispose: 'Non sono mica lui. Mi hanno che gli somiglio. Quello è pieno di soldi, magari fossi Lucio Battisti!'. La fan andò via non tanto convinta. Allora lui mi fece: 'Vedi, loro amano l’uomo. Invece devono amare la mia musica, l’uomo non esiste, non c'è'. Ecco, lì sta tutta la filosofia del lavoro di Lucio".
Si sente ancora con gli altri musicisti del 1972?
"Sì, certo. Con Gianni Dall’Aglio facciamo delle serate a tema. Le canzoni di Lucio sono immortali, continuano a offrire emozioni e affascinano anche molti giovani che non lo conoscono. Con il Covid abbiamo dovuto interrompere, ma speriamo di riprendere al più presto. Sono in contatto anche con Gabriele Lorenzi e Eugenio Guarraia (chitarra elettrica). Purtroppo Angelo Salvador (basso) non c'è più, resto in contatto con la moglie e la figlia".
Cosa pensa quando in tv ripassano quelle immagini?
"Un po' di nostalgia. Non tanto di quella trasmissione, di Lucio o di Mina. Nostalgia di quel periodo. Nessuno di noi avrebbe immaginato dopo 49 anni di trovarci di fronte alla pochezza della musica di oggi".
Qualche anno fa, Mina ha ricantato Battisti. L’ha ascoltata? Qual è il suo giudizio?
"Non mi ha emozionato. Come tecnica, Mina è una delle migliori nel mondo. Ma in quell'album è come se fosse calato un velo. Non è un disco che amo".
Nel tempo, chi si è avvicinato allo stile musicale di Battisti?
"Nessuno, a parte Oscar Prudente e Mario Lavezzi che, guarda caso, facevano parte della scuderia di Lucio. Ho collaborato con grandi artisti come De Andrè, Guccini, Daniele, Bennato, però ognuno di loro ha espresso un proprio stile, ben definito".
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