MILANO. Ci sono voluti più di 50 anni ai Rolling Stones per ripercorrere idealmente i passi che li
portarono a debuttare al Marquee Club di Londra nel luglio del 1962 sotto il segno del blues: il 2 dicembre queste leggende del rock tornano a quelle origini con l'album 'Blue & Lonesome'.
Ben prima della 'british invasion' una giovane band, che fin dal nome omaggiava Muddy Waters, aveva accolto sulle sponde del Tamigi la poesia urbana ed elettrica di Chicago, debuttando nel 1964 con un disco fitto di cover di Jimmy Reed e Howlin' Wolf, omaggiati di nuovo oggi.
Ma se negli anni Jagger e soci hanno continuato a tramandare la lezione blues soprattutto nel loro rock schietto e senza fronzoli, c'è voluto il caso perchè a ottobre 2015 registrassero un disco così legato alle loro radici:
«Avevamo inciso alcune nuove canzoni - racconta Mick Jagger -. Quindi ci è capitato di stufarci di questo nuovo pezzo, cosa che succede di frequente, e allora abbiamo suonato un blues, e poi un altro, e un altro ancora. A un certo punto ho detto: OK, torniamo domani e ne facciamo altri tre o quattro».
Questo cammino a ritroso, partito dalla title-track suggerita in studio da Keith Richards quasi come distrazione, dimostra però la maturità della band: a 11 anni dall'ultimo album le 12 tracce di 'Blue & Lonesome' descrivono i Rolling Stones forse ancora meglio di come qualunque brano inedito saprebbe fare. Smaltiti gli stilemi rhythm and blues degli esordi, la band sa assaporare l'incedere zoppicante e martellante di 'Commit A Crimè, ridurre all'osso il suono in 'Hoo Doo Blues' o marciare con il walking bass indolente e sincopato di 'All Of Your Love', mentre il timbro di Jagger si fa sensuale, cavernoso o tonante all'occasione. In scaletta 12 perle blues, tra cui quattro brani dal repertorio dell'armonicista Little Walter ('Just Your Fool', 'Blue And Lonesome', 'I Gotta Go' e 'Hate To See You Go') dove le doti di Jagger all'armonica a tratti oscurano perfino le chitarre. Sulle sei corde il disco vanta anche la presenza di Eric Clapton che quasi per gioco, trovandosi a incidere nello studio vicino, ha aggiunto i suoi assoli cantati e slide guitar nelle tracce 'Everybody Knows About My Good Thing' e 'I Can't Quit You Baby': se quest'ultimo classico di Willie Dixon già ebbe fama rock tramite la reinterpretazione dei Led Zeppelin, rispetto all'adattamento magniloquente di Page qui si avverte la crudezza di un disco registrato con un minimo ricorso alle sovraincisioni e ispirato a un'essenziale ricerca del groove,
quasi in presa diretta.
«Non abbiamo mai inciso così tante tracce in così poco tempo - dice al riguardo Richards - alcune canzoni hanno impiegato al massimo due o tre take, altre come 'Blue And Lonesome' erano buone alla prima'. Non è un caso quindi che tracce come 'Just Like I Treat You' facciano riemergere il feeling R&B degli Stones degli esordi:
«C'è un vero senso di dèjà vu, alcune di queste canzoni non le suoniamo dal 1962 o 1963 - dice Richards - e nonostante gli oltre 50 anni e qualche esitazione, le mie dita si sono ricordate tutto».
Proprio per quel senso da live al chiuso in un club, la band - ormai impegnata da anni in tour macroscopici - non sembra intenzionata a portare questo progetto dal vivo in futuri impegni all'aperto. Piuttosto, Keith Richards non esclude la possibilità di un seguito, purchè nasca altrettanto d'impulso:
«Con gli Stones le cose succedono e basta».
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