Dall'eroina alle pasticche sintetiche di ecstasy, dalla cultura pasoliniana piena di ingenuità popolare al mondo delle droghe di plastica. Il passaggio da Amore tossico (1983) a Non essere cattivo, film postumo di Claudio Caligari fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, non è comprensibile se si considerano solo gli anni passati dall'uno all'altro: bisogna valutare quella rivoluzione culturale che ha reso i 'coatti' di fine anni Novanta, come quelli di oggi, aspiranti borghesi. Vogliosi sì di 'farsi', ma anche di frequentare locali e comprarsi scarpe inglesi. "Come Pasolini aveva intuito - ha detto il regista in un'intervista -, in quegli anni muore il mondo pasoliniano. I ragazzi di Amore tossico avevano una sorta di ingenuità, rubavano per farsi e prendere da chi aveva di più era per loro un modo di rimediare all'ingiustizia della disparità sociale". Quelli che sono venuti dopo tendono a confondersi con la malavita, non sono sporchi, brutti e cattivi come quelli di Amore tossico, si vestono invece bene, vogliono il Rolex, le auto di lusso. Vogliono tutto: essere sballati, ma anche una bella vita. Non essere cattivo racconta la storia di Cesare (Luca Martinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi), legati da una forte amicizia. Un legame che resiste anche quando i loro destini si separano. Vittorio cerca di salvarsi e di integrarsi attraverso il lavoro, mentre Cesare affonda nell'inferno della droga e dello spaccio, finché durante una rapina viene ferito. A volere questo film è stato su tutti Valerio Mastandrea che ha cercato con tutte le sue forze di rimettere in campo un autore di culto quanto isolato, difficile e per di più malato come Caligari (morto il 26 maggio di quest'anno). Non solo, Mastandrea ha seguito le sei settimane di riprese in veste di produttore delegato, aiuto regista, organizzatore. Per produrre il film, alla fine, si è messa insieme un'insolita squadra composta da Kimerafilm, RaiCinema, Taodue, Leone Group.