La polizia di Caltanissetta ha eseguito nove misure cautelari, emesse dal gip su richiesta della Procura nell’ambito dell’operazione Fake Cars che ha smantellato un’organizzazione che avrebbe riciclato autoveicoli acquistati attraverso truffe ai danni di società finanziarie o provenienti da furti. Cinque dei nove indagati sono indiziati, a vario titolo, di aver promosso, costituito e partecipato l’associazione per delinquere che operava tra il territorio campano e siciliano. I reati contestati sono falsità materiale commessa dal privato in atti pubblici, possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, truffa, ricettazione e riciclaggio. Due di loro sono finiti in carcere, tre ai domiciliari. Gli altri quattro indagati interessati dal provvedimento cautelare sono sottoposti all’obbligo di firma.
Le indagini sono state condotte dalla squadra mobile e dalla Polstrada; sono stati individuati complessivamente 54 veicoli di provenienza illecita rivenduti ad ignari cittadini, per un valore complessivo di oltre un milione di euro; gli acquirenti hanno subito anche il sequestro delle vetture. I veicoli sono stati sequestrati questa mattina nelle città di San Cataldo, Agrigento, Catania, Avellino e Reggio Calabria. I pm oltre a richiedere l’applicazione delle misure cautelari personali, hanno richiesto al gip di disporre il sequestro preventivo di nove autovetture, del valore complessivo di 200.000 euro. La questura ha allegato anche le fotografie di due degli indagati: Eugenio Amico e Michele Giarratana al fine di individuare altre persone offese vittime della truffa, considerato che i due indagati hanno più volte utilizzato documenti falsi per stipulare contratti.
L’inchiesta della Procura ha avuto origine da alcuni controlli effettuati dalla Polizia Stradale di Caltanissetta nel 2020, per via del fondato sospetto che sul territorio della provincia nissena operasse un gruppo di soggetti dedito all’acquisto di veicoli di provenienza illecita. Fondamentale la segnalazione da parte di alcuni cittadini vittime della truffa. Le indagini hanno permesso di ricostruire il modus operandi degli indagati. In particolare avrebbero rivenduto automobili oggetto di furti o di appropriazioni indebite ai danni di società di leasing e i cui segni di riconoscimento, in alcuni casi, risultavano manomessi, così da poterne occultare la provenienza.
Gli indagati avrebbero agito secondo schemi più o meno complessi escogitati al fine di dissimulare l’origine illecita degli autoveicoli commercializzati, tra cui la sostituzione delle targhe a seguito della presentazione di false denunce di smarrimento, la formazione di atti notarili falsi o, ancora, l’utilizzo di autoveicoli con la numerazione del telaio ribattuta simulandone la provenienza estera. Nell’ultimo caso sarebbe stata prodotta documentazione falsa attestante la titolarità del veicolo, così da consentirne la circolazione nel mercato lecito. I nuovi dati identificativi inseriti erano quelli di autovetture effettivamente esistenti e circolanti in uno Stato estero, che, in tal modo, venivano «clonate». Successivamente, le stesse autovetture sarebbero state «ri-nazionalizzate», simulandone - documentalmente - la loro importazione dall’estero. Gli indagati sarebbero entrati in gioco proprio in questa seconda fase occupandosi, dopo aver ricevuto le autovetture falsamente importate dall’estero, di trasferirle rapidamente ad ignari acquirenti ad un prezzo leggermente inferiore rispetto a quello di mercato.
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