La truffa correva sull’efficienza energetica. Ventidue sono le persone indagate dalla guardia di finanza, a Torino, per un raggiro colossale sui cosiddetti certificati bianchi, i titoli che vengono rilasciati alle aziende che realizzano progetti di risparmio intelligente dei consumi. Tredici sono state colpite da un ordine di custodia cautelare in carcere; tre sono agli arresti domiciliari, mentre per sei è scattato l’obbligo quotidiano di presentazione alla polizia giudiziaria. Per l’operazione, chiamata in codice Bianco Sporco, sono stati impegnati 300 militari nelle province di Torino, Alessandria, Cuneo, Verbania, Milano, Savona, Vicenza, Bologna, Modena, Rimini, Crotone e Messina. Le accuse sono truffa, riciclaggio, autoriciclaggio e bancarotta fraudolenta. Il meccanismo ruota intorno ai Tee, i Titoli di efficienza energetica introdotti in Italia nel 2005, che certificano il conseguimento di risparmi energetici frutto di un incremento di efficienza. Li ottengono dal Gestore dei servizi energetici (Gse) le aziende distributrici di energia e gas - con più di 50 mila clienti finali - che raggiungono determinati obiettivi in termini di efficienza energetica. In alternativa, essendo negoziabili, si possono acquisire da altri operatori del settore, chiamati Energy Service Company, che scelgono volontariamente di realizzare progetti di riduzione dei consumi negli usi finali di energia. Ogni anno le aziende che dimostrano il raggiungimento degli obiettivi ottengono un contributo in denaro: «L’entità - spiegano al Comando della guardia di finanza - è parametrata sul valore di mercato dei ‘certificati bianchì scambiati. In ultima analisi chi lo sostiene è la collettività, attraverso i prelievi operati sulle bollette energetiche alla voce ‘oneri di sistemà». Secondo gli investigatori dal 2014 al 2021 alcune Energy Service Company avrebbero presentato progetti fittizi: per l’esattezza, 508 sui mille controllati dalla guardia di finanza torinese. I «certificati bianchi» erano poi scambiati con altre aziende e monetizzati. Una parte del ricavato veniva trasferito su conti correnti in Italia o all’estero (Lituania, Inghilterra, Romania e Bulgaria). Quindi, con prelievi sistematici, si acquistavano oro e preziosi. In questo modo sarebbero stati riciclati 13 milioni di euro. L’ammontare complessivo della truffa, secondo le prime stime, è di 30 milioni.