PALERMO - Non percepiscono stipendio, alcuni da qualche mese altri addirittura vantano 60 mensilità: cinque anni senza remunerazione, pur continuando a lavorare e prestare assistenza all'interno delle Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) nelle quali collaborano da anni. Nel folto gruppo che sosta davanti l'ingresso di Palazzo d'Orleans ci sono operatori con oltre trent'anni di lavoro alle spalle, che raccontano di lunghi e travagliati anni in cui i fondi destinati alle Ipab sono via via scemati, fino a portare alla chiusura di alcune strutture eccellenti, erogatrici di servizi necessari per il territorio, e minacciarne tante altre. Oggi il vertice con funzionari regionali per discutere del futuro degli oltre duemila lavoratori, divisi in personale di ruolo, assunti a contratto a tempo determinato e volontari, che operano in un centinaio di strutture sul territorio siciliano, molte delle quali inattive, a causa dell'assenza di fondi. A rischio non è solo il futuro di questi lavoratori, ma anche quello di oltre diecimila persone: tra anziani bambini, disabili, extracomunitari assistiti all'interno di queste strutture pubbliche. Il pericolo, sottolineano alcuni operatori, «è che si chiudano strutture pubbliche di alto livello, capaci di fornire un'assistenza socio-assistenziale di qualità, anche grazie ai continui controlli e ai livelli standard imposti, giustamente, dalla Regione. Questo rischia di favorire strutture private che molto spesso non rispettano le norme igienico-sanitarie e di sicurezza, e assumono personale non qualificato e non messo in regola. Non dimenticandoci, poi, che non tutti possono permettersi un servizio privato».
Il servizio di Rossella Puccio -
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