«Il mio metodo è non avere metodo, ho sempre cercato di abbracciare la ricerca della verità nella musica. E, anche se può sembrare ridicolo detto da me, non amo la farsa. Agli attori che ho avuto la fortuna di dirigere ho sempre dato un unico suggerimento: recitate con il dolore dentro, perchè la vita si subisce e andiamo avanti affidandoci a quel disagio che è una melodia perfetta. Quando recito, cerco di essere autentico con swing». È il Rocco Papaleo che non ti aspetti, quello che si è messo a nudo al Roma Fiction Fest incontrando il pubblico, alla vigilia dell'uscita del suo secondo film da regista, il 17 ottobre, "Una piccola impresa meridionale" (sopra il trailer). E anche se avverte «mi hanno vietato di parlarne», la butta poi sul ridere: «Quel giorno trovatevi, vi scongiuro, altro da fare». «Scrivo poesie e canzoni da quando avevo solo 15 anni. E anche se vivo serenamente tutte le espressioni artistiche, dal teatro al cabaret al cinema, il mio sogno era portarci una canzone su quel palco. Non ci sono mai riuscito, forse non ero abbastanza bravo, sono un autodidatta della musica, ma non posso farne a meno. Quando ero bambino eravamo tra i pochi ad avere la tv, tutto il paese veniva da noi a guardare il festival in bianco e nero». Poi confessa: «Non mi piaccio mai. Tranne che in Basilicata coast to coast, dove però sono me stesso. È stato un viaggio a ritroso nel mio passato e nella mia terra quel film. Ora ne parlano bene ma all'inizio le critiche non erano così lusinghiere, c'è chi mi ha massacrato. Il film si è ricreato una sua verginità nel tempo e oggi piace molto ai ragazzini di 10 anni che sanno le battute a memoria. Vorrei approfittarne per dire ai loro genitori sciagurati può essere dannoso per la crescita». Papaleo sfiora il mistico quando ricorda il suo ruolo in Padre Pio, con Michele Placido: «Ero frate Nicola, il suo braccio destro praticamente. Ecco, su quel set è successo qualcosa di inaspettato che ancora oggi non riesco a spiegarmi. Premetto, sono ateo ed ho un difetto di cui mi vergogno, bestemmio ogni tanto, un intercalare che mi ha trasmesso mio padre da piccolo. Ci assegnarono un coach, un frate di Pietrelcina, un uomo di una spiritualità incredibile. Io dovevo leggere in una scena due lettere inviate prima che diventasse pontefice da Karol Wojtyla a Padre Pio in cui lo ringraziava per aver pregato per la guarigione di sua madre. Ecco, in quel momento ero a disagio, ma quando sono entrato in scena mi sono sentito spingere, una sorta di accompagnamento. Mi sono girato e non c'era nessuno. Quando rivedo quell'immagine è l'unica in cui non mi faccio schifo, mi piaccio. Ripeto, sarà stata l'emozione ma in fondo la spiritualità è anche suggestione».