Un altro Matisse. Non il maestro del colore o il padre della Danza, nè il capofila dei Fauves, le Belve che con l' uso selvaggio del colore irruppero nel 1905 sulla scena dell' arte francese scuotendola solo per pochi anni.
L' Henri Matisse scultore che il Man di Nuoro racconta fino al 12 novembre attraverso una trentina di lavori - degli 84 realizzati in tutta la vita - accanto a disegni, incisioni, fotografie d'epoca e pellicole originali, svela la vita parallela di uno dei grandi maestri del secolo scorso. ''Era cresciuto con la passione per la materia - dice all' ANSA Chiara Gatti, direttrice del museo - per la terra cruda da pizzicare con le dita, seguendo la lezione di Rodin e Maillol e ossessionato dalla ricerca di uno spazio in 3D, da costruire attorno alle figure delle sue modelle. 'Girare intorno all'oggetto -confessava - mi aiuta a capirlo meglio'. Sembrano le parole di un futurista. Di fatto, inizia proprio all'alba del Novecento a cercare nella forma plastica soluzioni innovative, una astrazione che andrà, nel tempo, ad acuirsi sempre di più, lasciando sullo sfondo la natura, il sentimento, il palpito. Un viaggio verso la purezza della linea e della geometria''.
Matisse/Metamorfosi curata da Chiara Gatti, è l' adattamento per il museo sardo della mostra analoga organizzata nel 2019 dalla Kunsthaus di Zurigo e dal Museo Matisse di Nizza, e presenta per la prima volta in Italia il volto meno conosciuto dell' artista.
Perché questo Matisse è rimasto nell' ombra? ''Forse le patine cupe del bronzo possono essere sembrate meno attraenti rispetto ai mille colori in libertà, dei nudi blu o dei pesci rossi. I suoi celeberrimi toni squillanti, le silhouette e gli arabeschi, hanno affascinato più delle pose delle sue modelle immortalate nella creta. Non è la prima volta che la scultura passa in secondo piano rispetto alla pittura. Se pensiamo ai maestri del Novecento, da Boccioni a Picasso, da Mirò fino a Lucio Fontana, la loro scultura è rimasta comunque sempre meno amata dal pubblico''. Che cosa accomuna questi artisti? ''Per tutti loro, Matisse in testa, l'esercizio, l'indagine sullo spazio, la profondità, l'altrove - oltre al movimento, al dinamismo e persino alla variabile del tempo - sono sempre e comunque passati attraverso una dedizione totale alla scultura, come mezzo privilegiato di analisi dell'aria, del vuoto, del respiro che avvolge il visibile''. La mostra suggerisce la manipolazione della materia come veicolo per nuove e rivoluzionarie soluzioni formali. ''Nel caso di Matisse, ma si potrebbe dire lo stesso per Giacometti e molti altri, la scultura è il luogo della sperimentazione che verrà poi traghettata anche in pittura.
Henri dice di aver messo in disparte il colore per un lungo periodo perché sentiva di non aver più nulla da dire in pittura.
Grazie ai mesi trascorsi a scolpire, riuscì a tornare al cavalletto con una nuova consapevolezza e nuovi obiettivi da perseguire. L'astrazione soprattutto. La linea pura, lo slancio, la verticalità, i volumi torniti nello spazio e la sintesi della forma è conquistata sfaccettando, togliendo, 'levando' materia alla materia''. Un metodo, spiega la direttrice, applicato anche in pittura. ''Basti pensare alla Danza o alle forme minimalissime della sua grafica e dei suoi pochoir: hanno tutte la loro origine nelle sculture, in cui l'erosione delle pose ha proiettato la realtà e la natura in una dimensione assoluta''.
La chiave per comprendere la metamorfosi dell'artista è rappresentata dalla serie delle cinque teste di Jeanette. ''La sua vicina di casa a Issy-les-Moulineaux, Jeanne Vaderin, posò per lui svariate volte. Per i primi due esemplari, la fece posare in atelier. Per sviluppare il secondo, partì da un calco in gesso del primo, che rielaborò sempre in presenza della sua modella. Per la terza versione, invece, cominciò a modellare il soggetto solo a memoria, in creta. Lavorò poi la quarta testa ricominciando ancora da un calco della terza versione. Ritornò quindi agli esiti di Jeannette III per la quinta fase del lavoro''. Le cinque teste, dunque, passaggi successivi di un unico lavoro. ''Sono il frutto di un processo di creazione e modificazione della medesima figura, che segue una progressione formale, ma diventa una vera e propria metamorfosi in cui il soggetto muta lentamente come in un programma di morphing. Il trattamento più drastico è quello della quinta Jeanette, per la quale giunse a rimuovere i capelli e l'occhio sinistro. Una sintesi radicale. Matisse espose la serie completa delle cinque teste nel 1931 a New York, ma non allineate un'unica sequenza: le distillò nello spazio alternate ad altre sculture, in diverse sale della mostra, al fine di evidenziarne l'indipendenza l'una dall'altra''. (ANSA).
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