ROMA - Il primo lavoro, sul finire degli Anni Sessanta, fu un mosaico su un marciapiedi di Manhattan davanti a una pasticceria italiana. Primarosa Cesarini Sforza, artista poco più che ventenne, si era trasferita con la famiglia da Roma a New York nel 1966 quando la Grande Mela era un ribollire di fermenti e avanguardie che scuotevano la scena culturale, nella pittura come in musica, teatro, letteratura, cinema. Lei, cresciuta in una famiglia di artisti e collezionisti - Cesarini Sforza, Cascella, Canevari - aveva cominciato da bambina a mettere insieme le tessere colorate, poi aveva coltivato la sua passione con gli studi all' Istituto d' Arte. Più di cinquanta anni dopo continua a guardare avanti con curiosità e impazienza mentre osserva le sue opere riunite fino al 2 luglio nella retrospettiva ''La materia e il perimetro'' allestita nelle sale del Casino dei Principi, a Villa Torlonia.
La mostra, curata da Michela Becchis, descrive per decadi - ma procedendo a ritroso, dai lavori di questi anni fino agli esordi - l' attività della pittrice mostrando anche l' evoluzione cromatica della sua ricerca, dal bianco del disegno tra spaghi e fili dei sette anni americani alla scoperta del colore negli anni '80, all' uso del bitume successivamente fino al ritorno dei grumi di fili di seta del periodo più recente.
Che cosa racconta di lei questa mostra? ''Sicuramente la mia serietà sul lavoro, l' impegno e la tenacia - spiega all' ANSA - . Essere artisti negli anni Sessanta non era facile. Per noi donne, allora come oggi, è più difficile non perchè non veniamo prese sul serio ma perchè abbiamo tantissime altre cose da fare e le facciamo. Continuare con il processo creativo che è una cosa costante alle volte è molto faticoso''. L' ambizione non c' entra. ''Non devo dimostrare niente a nessuno -dice - ma solo a me stessa e penso di averlo fatto, Era questo lo scopo della mia vita. Ho sempre saputo che l' arte sarebbe stata la mia vita''.
Quello che le sta a cuore è la poesia che traspare dalla sue opere nonostante sia passato così tanto tempo. Rivendica con orgoglio di non aver mai aderito a scuole o movimenti. ''Sono sempre stata molto indipendente e fiera di essere un cane sciolto''. Fu il gallerista newyorchese Alan Stone a ospitare la sua prima mostra nel 1968. ''Esponeva altri grandi artisti ma dava spazio anche a giovani talenti. Due o tre anni fa la sua Fondazione ha inaugurato una nuova mostra con tutti i miei lavori che gli erano rimasti nel deposito''.
Dopo 50 anni che cosa ha capito? ''Che devo continuare, assolutamente. Non vedo l' ora. Ora voglio dedicarmi alla ceramica perché ho bisogno di far uscire dal fisico la tensione e la fatica. Voglio fare piccole sculture. E non vedo l' ora di andare nella mia casa in campagna in Umbria per fare i lavori più grandi in vista di una prossima mostra''. Il Casino dei Principi raccoglie disegni, dipinti, installazioni, grafiche, ceramiche, che documentano la sua esperienza artistica. Tra tele, fogli, vasi, campane di vetro e variopinti libri d' artista spiccano le scatole, che nella sua prima giovinezza artistica realizzò ispirandosi a quelle di Joseph Cornell viste a New York, fino a girarle usandone la parte posteriore come supporto. Una suo appunto del 1992 aiuta a intravedere che cosa l' ha guidata . ''La mia ricerca di geometrie fluttuanti, di lune parallele, di finestre sulla notte, di architetture sporadiche ha origine in una esperienza dello sguardo in cui si fondono senza più distinguersi quotidiano e memoria''.
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