Martedì 26 Novembre 2024

A Palazzo Barberini torna la magnificenza di Urbano VIII

Palazzo Barberini - The sovereign image. Urban VIII and the Barberini - © ANSA
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Palazzo Barberini - The sovereign image. Urban VIII and the Barberini - © ANSA
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Palazzo Barberini - The sovereign image. Urban VIII and the Barberini - © ANSA
Palazzo Barberini - The sovereign image. Urban VIII and the Barberini - © ANSA
Palazzo Barberini - The sovereign image. Urban VIII and the Barberini - © ANSA

Il battesimo di Cristo sulle rive del Giordano. Costantino che combatte il leone. E l'inizio del proprio pontificato. "Per capire Urbano VIII e la sua ambizione, basterebbe guardare questi tre arazzi". Sotto la spettacolare volta affrescata da Pietro da Cortona, in una delle infilate più magnificenti dei palazzi romani e davanti a quei tre pezzi eccezionalmente riuniti, insieme ai loro cartoni di preparazione, il rettore dell'Università di Vienna Sebastian Schütze racconta come il Papa allestì questa sala, accostando la storia della propria vita a quella di Cristo e dell'imperatore Costantino. Ed è proprio in occasione dei quattrocento anni dall'elezione al soglio pontificio di Maffeo Vincenzo Barberini che le Gallerie nazionali di arte antica celebrano il "padrone di casa" con "L'immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini", grande mostra a cura di Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori e Sebastian Schütze, dal 18 marzo al 30 luglio a Palazzo Barberini, dedicata al letterato e poeta, destinato a diventare il più grande Papa committente-mecenate del Seicento.

Un'occasione unica, non solo per ammirare capolavori che tornano qui dopo oltre un secolo, ma anche per capire come Urbano VIII e la sua famiglia utilizzarono la potenza dell'arte per consolidare il proprio potere e fare propaganda politica. Durante il suo pontificato (il più lungo e rappresentativo del XVII secolo, dal 1623 al 1644), per intenderci, Urbano VIII promosse imprese colossali, come il baldacchino di San Pietro di Gian Lorenzo Bernini. Ed è con i Barberini che nacque il barocco a Roma. In mostra oggi, 88 opere in più di mille metri quadri di allestimento, con 70 prestiti da 40 istituzioni internazionali e collezioni private, dagli Uffizi al Louvre e il Met, solo per citarne alcuni. "E' il progetto espositivo più ambizioso mai realizzato e prodotto dalle Gallerie, frutto di oltre tre anni di lavoro - racconta la direttrice Gennari Sartori - Dagli spazi per le mostre temporanee" si sale su fino "ai grandi saloni" ultima tappa del "percorso di recupero di tutti gli ambienti del palazzo precedentemente occupati dal Circolo Ufficiali delle Forze Armate". Un viaggio che mette insieme Caravaggio, Bernini e i Carracci, ma anche gli scritti di Galileo Galilei e le poesie dello stesso Urbano VIII, dalla sua incredibile biblioteca di oltre 4 mila volumi. Per la prima volta tornano qui la Morte di Germanico di Nicolas Poussin, "che fino a oggi ha lasciato Minneapolis solo per una mostra al Louvre", ricorda Schütze, e l'Allegoria dell'Italia di Valentin de Boulogne. E poi il Ritratto di Taddeo Barberini di Andrea Sacchi e quello del padre Carlo di Francesco Mochi; il Pan attribuito ad Antonio da Sangallo.

Restaurati per l'occasione, ecco poi i grandi dipinti che Andrea Camassei dedicò a La strage dei Niobidi e Il riposo di Diana, restaurati per l'occasione. "In mostra - racconta Schütze - non sono solo le opere, ma il palazzo stesso, la bellissima facciata, gli scaloni, il giardino di quella che era la sontuosa residenza di famiglia. Un modo per rivivere la Roma barberiniana, proprio nel fulcro della vita culturale e artistica di quegli anni". In dodici sezioni, come spiega la curatrice Cicconi, "raccontiamo come i Barberini controllarono tutti gli aspetti della cultura", ma anche "il rapporto con la città, inizialmente di grande amore ma finito con i romani che alla morte del Papa correvano in Campidoglio per distruggerne la statua". "L'occasione dei 400 anni era imperdibile - commenta il Direttore Generale dei musei del Mic, Massimo Osanna - ma la mostra è importante anche per capire quanto i nostri musei siano sempre più luoghi di ricerca".

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