ROMA - La Grande Bagnante, enorme olio su tela, risplende con la sua potenza cromatica nell' omba che avvolge la sala. Raoul Dufy la dipinse nel 1914 quando già si era esaurita la spinta innovativa dei Fauves, le 'belve' che lo avevano affascinato per l' uso del colore libero e fuori dagli schemi. Quell' opera si staglia tra la produzione del primo periodo dell' artista, influenzata dalla lezione di Cézanne. Del resto basta osservare come il pittore si ritrae nel corso del tempo per capire come e quanto si trasformi il suo modo di guardare il mondo, dall' approccio 'classico' del 1898 al volto tratteggiato di venti anni in venti anni dal colore steso con pennellate di getto.
''Il pittore della gioia'', così chiama Dufy la prima grande retrospettiva italiana che la Fondazione Terzo Pilastro di Emmanuele Emanuele dedica al maestro di Le Havre fino al prossimo 26 febbraio a Palazzo Cipolla, a Roma. In effetti, le 160 e più opere scelte da Sophie Krebs con il contributo di Nadia Chalbi, compongono un mosaico davvero abbagliante di figure, ambienti, spiagge, barche e paesaggi marini. "Nella pittura - aveva spiegato l' artista - l'elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori". A raccontare la vicenda umana e artistica di Raoul Dufy (1877-1953) sono 13 sezioni che si concludono con la riproduzione in scala 1:10 del gigantesco dipinto 'La fata elettricità', il più grande del mondo, che l' artista realizzò nel 1937 per l' Esposizione internazionale delle arti e delle tecniche di Parigi, un murale di 600 metri quadrati metri composto da 250 pannelli dipinti a olio, ognuno di 2 metri per 1,2. In lui, osserva la curatrice, troviamo un mix di modernità e classicismo. La conversione di Dufy alla pittura fauve, spiega, prese le mosse da una prima rinuncia, quella all' impressionismo. Il quadro 'Lusso, calma e voluttà' di Matisse gli fece l' effetto di una scossa elettrica. ''Ho compreso - disse l' artista - tutte le nuove ragioni per dipingere e il realismo impressionista ha perduto per me il suo fascino alla vista dell' immaginazione introdotta nel disegno e nel colore''. Da allora comincia a sperimentare con i colori, non il colore puro ma ''la tinta livida, sempre più lontana dal tono locale''. Teneva a chiarire di non confondere il colore con la pittura: ''Dato che faccio del colore l' elemento creatore della luce, esso è insieme al disegno, il grande fondatore della pittura, l' elemento chiave''. Grande importanza ebbe nel 1922 il viaggio in Italia, in particolare in Sicilia dove - cone scrisse - ''si può ritrovare l' antichità vivente'' . ''Questa esperienza - ha sottolineato Krebs - ha stimolato la sua ricerca tra modernità e classicismo che ha permeato la sua pittura''. Dufy fu anche incisore, illustratore, disegnatore di abiti di moda e di tessuti (in mostra esempi pregevoli arrivano dal Museo di Lione), scenografo, decoratore, ceramista. E se non smise mai di dipingere il mare e i suoi paesaggi, riservò attenzione alla natura, ai campi di grano - come i dipinti degli anni Trenta che si rifanno a Van Gogh - ai fiori e alle piante, ma anche alle corse dei cavalli e al pubblico degli ippodromi. ''Della modernità - conclude la curatrice - ha conservato l' idea, derivata da Cézanne di associare, disegno, colore e composizione. Rifiuta la prospettiva classica, l' anatomia è approssimativa, i corpi abbozzati. Cosa c' è di classico allora? Il lavoro manuale, il mestiere e un immaginario che lo predispone a tutte le sperimentazioni decorative''. (ANSA).
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