- TRIESTE, 13 GIU - C'è una scelta fondamentale cui una città bella e "domestica" come Trieste obbliga: partire nel tentativo di intercettare le grandi dinamiche economiche e culturali delle competitive ma stressanti aree metropolitane o restare, sacrificando possibili successi ,in nome di una vita meno sfavillante ma più autentica e tranquilla. Vuoi per il fascino che Tergeste esercita sui triestini, vuoi per il timore di gettarsi in una arena feroce, in tanti non hanno mai lasciato Trieste, o vi sono tornati. Livio Rosignano appartiene a quest'ultima categoria.
Prolifico pittore, chi lo conobbe è convinto che se fosse rimasto a Milano - dove si era trasferito - avrebbe avuto un grande successo. Ma il richiamo di Trieste fu forte. Qui Rosignano convertì in arte la quotidiana fatica dei "Poveri Cristi" del quartiere di San Giacomo. In fila all'Esattoria, in transito in un sottopasso o in bus, trasferì su tela il loro perenne sguardo vuoto e spaventato, lo svuotamento interiore causato dal peso della vita.
A lui è dedicata la prima personale dalla sua morte (avvenuta nel 2015 a 90 anni), "Livio Rosignano. Dipingere il vento", al Magazzino 26 (fino al 10 luglio, promossa da Associazione Comunità Istriane di Trieste con Comune di Trieste, ideata e curata da Marianna Accerboni). Ma Rosignano non fu un uomo triste: nonostante la deportazione nell'inferno di Dachau e altre vicissitudini, fu uomo appassionato della vita, mai ripiegato o vinto. In una intervista, a 90 anni, disse che, avendo cibo, libri, dipingendo ogni giorno, la sua vita era bella. La mostra punta su un aspetto della produzione (3.500 dipinti, 17 mila disegni), quel "dipingere il vento" per la capacità di immortalare la bora. Ma negli oltre cento tra dipinti, disegni, articoli e libri dell'allestimento, emerge un espressionista poetico di grande tecnica nei ritratti, autoritratti, paesaggi, che si tratti di vedute di mare, urbane o industriali.
"Come pittore fu artista di luci, di atmosfere, di grande sensibilità per l'umanità; come uomo fu animato da spirito malinconico, ma fu anche euforico, sempre vitale", lo definisce la curatrice Marianna Accerboni. (ANSA).