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Trieste raccontata attraverso i suoi protagonisti

TRIESTE - La storia la scrivono i vincitori. Trascinano eroi, gesta, date per consegnarle alle pagine e consacrarli al mito. Il resto è consegnato all' oblio. Il lavoro che fa Pietro Spirito in GENTE DI TRIESTE (Editori Laterza; pp.244; 18 euro), come in altre sue opere, è il percorso inverso: intrufolarsi nel deposito della Storia e scovare gli altri. Non solo gli sconfitti, ma i dimenticati, gli antieroi, quelli che davanti alla grancassa del successo hanno inalato tossici respiri di velleitarismo decidendo di tornarsene indietro; o coloro che dal successo per le capricciose traiettorie delle circostanze, sono stati rifiutati. Spirito scava, annusa, indaga e compie la sua opera di risarcimento aggiungendo una postilla al librone della Storia.
    Autentico studioso, lo fa gratuitamente e nemmeno per vanità di fama: per lui nessun lascito proiettato dal passato. Dai cassetti del 'deja veçu' estrae personaggi dalle imprese mirabolanti, come Glauco Gaber che nel dicembre 1948 con un manipolo di argonauti salpò dal Molo Audace su una scialuppa di salvataggio riadattata, armata di motorino e vela, per attirare l'attenzione su Trieste, ostaggio delle diplomazie internazionali. Approdarono in Brasile nel settembre 1949 diventando eroi semidivini in tutta l'America Latina. In Italia li avevano dimenticati già prima che rientrassero. L'alpinista Felice Benuzzi fu fatto prigioniero degli inglesi in Etiopia e portato al campo 354 a Nanyuki (Kenya), da dove poteva vedere il Monte Kenya, che desiderava scalare. Con due compagni nel gennaio 1943 fugge dal campo, arriva alle pendici e comincia la salita. Non raggiungerà la vetta più alta, Batian, a 5.199 metri di altezza, dovrà accontentarsi della seconda, Punta Lenana, 4.985! Missione compiuta: i tre riscendono e rientrano segretamente al campo. Scoperti, dovranno scontare 28 giorni di isolamento. E' tale però la beffa che la notizia fa il giro del mondo. Esploratori, avventurieri hanno in comune una coraggiosa faciloneria, alla Brancaleone con obiettivi ambiziosi, spesso raggiunti. Mitologica è la figura di Paolo Universo che, giunto a un passo dal diventare campione di atletica, non si presentò alla gara; studiò ma rifiutò di laurearsi, compose poesie e non le pubblicò. Per non parlare della dotata pittrice Alice Zeriali. Il repertorio di Spirito include anche chi ce l'ha fatta, quelli che - tenacia sovrumana, indole ispirata o straordinario talento - non sono arretrati mai di un millimetro. Osiride Brovedani, nato povero, fece fortuna vendendo in tutta Italia la pasta Fissan; l'ex orfanello e profugo istriano Primo Rovis divenne uno degli uomini più ricchi d'Italia grazie al caffè (e fu grande benefattore). Una bevanda che fu (ed è) la fortuna della oculata famiglia Illy, degli Hausbrandt mentre gli Stock predilessero il brandy. Trieste fa da sfondo: è filosofia, stile, lama sottile infilzata nel petto. Una città "capace di attrarre vite sbagliate come una calamita", di triturarle e restituirle "nella loro più sublime essenza"; "inafferrabile e sfaccettata" che si sublima in Umberto Saba - grande poeta, pessimo uomo - o in Italo Svevo, e la sua "meravigliosa insensatezza della vita".
    Spirito gigioneggia come un novello Svevo, si lascia schiacciare nel continuo confronto con la compagna E.B.. E il mettere in mostra una propria debolezza, il mettersi alla berlina, è al contempo una denuncia e un farsi personaggio. A pag.16 una citazione del filosofo spagnolo George Santayana rivela: "Tutti abbiamo un'essenza lirica, un'esistenza comica e un destino tragico". (ANSA).
   

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