VENEZIA - ''Il mio universo è un immenso parco'', le prime parole del diario di Jacques Henri Lartigue raccontano un modo di intendere il mondo che accompagnò per tutta la vita il grande fotografo francese. La 'Belle Epoque', quegli anni brillanti e spensierati tra la fine dell' Ottocento e l' inizio del nuovo secolo che fecero da preludio al disastro delle guerre, fu documentata dalla sua meticolosa applicazione privata concentrata a riversare sulla pellicola una visione positiva della realtà, a fissare la felicità nel suo attimo fuggente, momento irripetibile destinato a perdersi anche nel ricordo a meno di non riuscire a catturarlo in qualche modo. La mostra che a Venezia gli dedica fino al 10 gennaio prossimo la Casa dei Tre Oci è l' occasione per sfogliare gli album personali di Lartigue, lo scrigno che l' artista alimentò davvero giorno per giorno con i suoi scatti, fino a quando nel 1963 - ormai sessantottenne - fu scoperto dal grande pubblico grazie a una esposizione organizzata dal Museum of Modern Art di New York. Per ''L' invenzione della felicità'', la più grande retrospettiva mai organizzata in Italia per il maestro francese, i curatori - Marion Perceval e Charles-Antoine Revol della Donation Lartigue con Denis Curti, direttore artistico sede espositiva veneziana - hanno selezionato 120 immagini, 55 delle quali inedite, pescate tra le migliaia scelte dal fotografo, che dal 1902 ne collezionò oltre duecentomila. Alcune pagine degli oltre 200 album fotografici sono riprodotte in fac simile, accanto al libro ''Diario del Secolo'' del 1970, pubblicato con il titolo "Instants de ma vie", riviste dell'epoca, un diaporama con le pagine degli album, tre stereoscopie con immagini che rappresentano paesaggi innevati ed eleganti scenari parigini.
Quando si dice il destino
Jacques Henri Lartigue (1894-1986), nato in una famiglia ricchissima che gli evitò anche la scuola, ebbe in dono la prima macchina fotografica a sette anni. Da allora fu una rincorsa continua nella 'mission impossible' di conservare i momenti di gioia da riassaporare nel tempo. Ferdinando Scianna, nel bel saggio in catalogo, ricorda la delusione e l' angoscia del piccolo Jacques che, per una volta senza la macchina, perse 'la più bella delle dame' a passeggio nel Bois de Boulogne. ''Lartigue fece ciò che nessun fotografo aveva fatto prima e che nessuno fece dopo: fotografare la propria vita'', disse Richard Avedon, che lo lanciò sul palcoscenico mondiale dopo la mostra al Moma sugli scatti fatti prima della Grande Guerra, dedicati alla ricca borghesia parigina dei Grandi premi automobilistici o delle corse ippiche di Auteuil. Era il racconto di un microcosmo elegante e raffinato che l' artista cercò di preservare. Con la costante dei soggetti còlti in atteggiamenti buffi, nell' atto di tuffarsi, saltare, muoversi. I primi aeroplani, il tennis, gli sport invernali agli albori, gli aerostati, le donne
''La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora - osserva Curti -. Era fotografo di se stesso. Non ha lavorato sul concetto della felicità ma sulla sua felicità''.
Fu proprio Avedon a chiedergli di riportare alla luce alcuni scatti per creare un 'giornale' fotografico che diventò ''Diary of a Century'' grazie al quale Lartigue entrò tra i grandi della fotografia del Novecento. Negli anni '40 l' artista aveva le sue fotografie su riviste, combinando gli incontri mondani e le inquadrature più ricercate. Gli anni '70 e '80 furono segnati dalle collaborazioni con la moda e il cinema, dove fu fotografo di scena per molti film. Scianna, che lo ha conosciuto divenendone amico, dice che per Lartigue era naturale ''vedere e sentire solo la parte bella della vita'' e ricorda che il fotografo attribuì al caso la sua notorietà, lui che aveva sempre mostrato le sue foto solo ad amici e familiari. ''Del resto è per loro e per me che le facevo, per gioco. Dipingere e fotografare sono diverse maniere per cercare di fermare l' istante fuggitivo della vita, di 'mettere in conserva' un po' dell' immensa felicità del vivere''. Facile, quindi, il confronto con Proust, che non incontrò mai pur frequentando gli stessi ambienti. Due personalità agli antipodi: Lartigue guardava al presente, i suoi - come spiega bene il titolo di un suo journal - erano 'ricordi senza memoria'; lo scrittore Marcel puntava al passato e al 'tempo perduto'. ''Lui era un uomo notturno, io solare'', spiegò. La felicità non può guardarsi indietro e allora per Lartigue, ''la fotografia è lo strumento meraviglioso per tentare una grande sfida al tempo e alla morte, acchiappare con la 'trappola dell' occhio' tutto quello che si può della vita e della gioia, cercare di farlo durare il più possibile''. Lartigue ha attraversato il Novecento conservando lo spirito di un bambino. Non c'è dolore, morte, violenza o morbosità nelle sue immagini, frutto della voglia che gli si potrebbe rimproverare di descrivere soltanto un' esistenza allegra e senza problemi. Il Secolo Breve, segnato da catastrofi, guerre, orrori e massacri, per Lartigue fu lungo e felice. (ANSA).