Individuate le regioni delle Alpi che costituiscono gli ultimi rifugi dove gli uccelli d'alta quota potranno sopravvivere ai cambiamenti climatici dei prossimi decenni: coprono una superficie complessiva di circa 15.000 chilometri quadrati e vanno tutelati a difesa di tutta la biodiversità alpina. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology da un gruppo di ricercatori di Italia, Svizzera, Slovenia, Austria e Germania, inclusi esperti dell'associazione BirdLife e della Lega Italiana Protezione Uccelli (Lipu). Il primo autore è Mattia Brambilla, ricercatore del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell'Università Statale di Milano.
"Nello studio ci siamo concentrati su quattro specie di uccelli di alta quota (la pernice bianca, il sordone, il fringuello alpino e lo spioncello) perché sono i più minacciati dai cambiamenti climatici", racconta Brambilla all'ANSA. "Abbiamo valutato la loro distribuzione raccogliendo migliaia di segnalazioni della loro presenza fatte da ricercatori e appassionati dal 2000 ad oggi, specialmente nel periodo della riproduzione in cui gli uccelli hanno bisogno di trovare tutte le risorse necessarie alla crescita dei loro piccoli senza allontanarsi troppo dal nido".
Usando dei modelli statistici, i ricercatori hanno esaminato come potrebbe variare la distribuzione geografica di questi volatili nei diversi scenari di cambiamento climatico proposti per il periodo 2041-2070. I risultati mostrano che tutte le specie (a eccezione dello spioncello) vivranno in aree sempre più ristrette (dal 17% fino al 59% in meno rispetto alle attuali) e si sposteranno verso quote più elevate. Le regioni in cui vivono attualmente e in cui potranno continuare a vivere nei prossimi decenni coprono una superficie di circa 15.000 chilometri quadrati, di cui il 44% è già designato come area protetta.
"Sapere come cambierà la distribuzione degli uccelli d'alta quota e quali aree offriranno condizioni adatte anche in un futuro più caldo, è la chiave per la conservazione di specie così sensibili e degli ambienti unici in cui abitano", commenta Brambilla. "Queste aree rappresentano 'rifugi climatici' per la biodiversità alpina e dovrebbero essere preservate dall'alterazione antropica e dal degrado dell'habitat".