Fare dei medici di famiglia anche un importante snodo per i Pronto soccorso ed arrivare a prevedere un percorso accademico per la loro formazione, al fine di rendere più attrattiva questa professione. Sono questi alcuni dei punti di confronto tra la categoria ed il ministero della Salute in vista della riorganizzazione della Medicina generale.
Lo sottolinea il segretario della Federazione italiana dei medici di famiglia (Fimmg), Silvestro Scotti, alla vigilia dell'atteso incontro tra il ministro della salute Orazio Schillaci ed i sindacati confederali, nell'ambito della più ampia ripresa del confronto tra l'esecutivo e le organizzazioni sindacali.
"L'obiettivo sul tavolo è la riorganizzazione della Medicina di famiglia: il confronto con il ministro è avviato ma i punti da chiarire sono vari. Al momento - afferma Scotti all'ANSA, precisando di aver avuto un incontro con Schillaci anche la scorsa settimana - non è però in discussione il passaggio dei medici di famiglia al Servizio sanitario nazionale come dipendenti; si tratta di un'ipotesi che ci vede nettamente contrari e che non è ad oggi in agenda". Altro punto di confronto, spiega, "riguarda la formazione: si pensa di arrivare ad un percorso di formazione accademico-universitario proprio per aumentare l'attrattività della professione. Ciò significherebbe passare dall'attuale corso di formazione in Medicina generale post laurea, di durata triennale, ad una specializzazione universitaria della durata minima di 4 anni".
Ad ogni modo, vista l'attuale carenza di medici, precisa, "tale passaggio dovrà essere necessariamente graduale, per evitare che l'allungamento dei tempi crei ulteriori carenze". Si punta anche a rendere i medici di base un fondamentale snodo rispetto agli ospedali: "Il medico dovrebbe poter prescrivere il ricovero ove necessario, in modo che il cittadino possa saltare l'attesa in Pronto soccorso ed entrare subito in reparto. Una sperimentazione in tal senso si è fatta in Lombardia con l'istituzione di un 'codice blu' ma il problema è che per poter fare questo il medico dovrebbe essere messo in grado di effettuare esami diagnostici completi, a partire da elettrocardiogrammi e test cardiologici, ma ad oggi - rileva - i nostri studi ancora non hanno la strumentazione diagnostica necessaria. I fondi per la dotazione diagnostica sono previsti dal 2019, ma le Regioni non hanno avviato le procedure necessarie". Resta infine il nodo delle nuove case di comunità: "quali e quanti medici debbano essere impiegati in queste strutture è - conclude Scotti - un capitolo tutto da scrivere".
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