Negli ultimi dieci anni vi è stata in emofilia una 'rivoluzione' in ambito terapeutico: sono stati prodotti infatti i farmaci cosiddetti 'long acting', a maggiore durata, che hanno contribuito a ridurre il numero delle infusioni endovenose e hanno aumentato la protezione contro i sanguinamenti. Successivamente, l'utilizzo di un nuovo farmaco, a somministrazione sottocutanea, ha reso più semplice la profilassi, soprattutto nei pazienti più piccoli. Alle porte vi è poi la terapia genica, con due prodotti per l'emofilia A e B a cui l'Agenzia europea del farmaco (Ema) ha concesso l'approvazione condizionata e per i quali è in corso una valutazione di Aifa (Agenzia Italiana del farmaco). I pazienti emofilici assistono, quindi, a uno sviluppo della ricerca farmacologica per molti versi entusiasmante secondo FedEmo (Federazione delle Associazioni dei pazienti emofilici), ma rimangono alcune problematiche legate all'assistenza nelle Malattie emorragiche congenite (Mec), gruppo di malattie a cui l'emofilia appartiene.
"Dopo un decennio dalla sigla dell'Accordo Stato-Regioni sull'assistenza alle malattie emorragiche congenite, la terapia genica per l'emofilia è ormai alle porte e attualmente in fase di registrazione - rileva Cristina Cassone, presidente FedEmo -le problematicità del sistema assistenziale dedicato alla malattia sono invece aumentate, nonostante l'impegno quotidiano dei clinici. Il post Covid ha visto le Regioni ridurre gli investimenti sui Centri Emofilia e sulle professionalità che vi operano. FedEmo chiede, perciò, con forza a tutte le Istituzioni che operano in sanità di destinare più risorse strutturali e umane all'assistenza alle Mec e un maggior coinvolgimento diretto dei pazienti all'interno dei tavoli tecnici di programmazione". L'emofilia è una patologia genetica rara legata alla coagulazione. Ad oggi si calcola che nel mondo ne soffrano circa 400 mila persone, circa 4 mila solo in Italia.Per FedEmo l'evoluzione del trattamento dell'emofilia ha portato notevoli miglioramenti nella vita del paziente Ma "servono, medici preparati e infrastrutture adeguate a gestire l'innovazione terapeutica che la ricerca ha reso disponibile".
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