Tra i farmaci approvati negli ultimi anni in Europa, 5 su 10 sono frutto della ricerca americana. L'Italia su questo fronte è svantaggiata e potrebbe certamente fare di più, se venisse recepito il regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche che rende omogenei e semplifica gli iter tra i vari Paesi dell'Unione. E' l'appello che arriva dagli esperti intervenuti a "Salute e Sanità: le fide dell'Italia nello scenario globale", l'incontro organizzato da Fondazione Mesit in collaborazione con Ceis di Tor Vergata, Centro per gli Studi Politico-costituzionali (Crispel) e Università di Roma Tre.
Recepire il regolamento europeo sui trial clinici, ha spiegato Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, "è ormai un'urgenza, considerando che gli studi clinici sono un beneficio economico per il Servizio Sanitario nazionale e un beneficio concreto per i cittadini che diventano destinatari del frutto della ricerca scientifica".
I dati Istat da anni confermano che le aziende farmaceutiche sono driver di produzione e spingono l'export italiano. Ma, precisa Cattani, "manca una visione strategica e politica per avere voce in Europa. Servono regole nuove, che superino i silos nell'approccio strategico agli investimenti industriali e agli investimenti sulla salute". Solo così si possono affrontare "le sfide per i prossimi anni, di cui vediamo oggi i primissimi risultati, come la terapia genica e gene editing. Senza un salto culturale di visione strategica del settore farmaceutico saremo sempre sfavoriti rispetto a altri Paesi che credono nell'innovazione".
Per supportare l'innovazione scientifica che "si trova ora in un collo di bottiglia", ha concluso Cattani, è essenziale "superare i limiti imposti spesso dalla burocrazia" ma anche "investire in salute uscendo dallo schema della singola legge di bilancio, legata a una programmazione a corto raggio, e invece programmare già ora per i prossimi anni".