"Io sono il pioniere, io sono il fondatore, io sono il liberatore, io sono l'architetto del rock and roll". Sono le parole di Little Richard, al secolo Richard Wayne Penniman (1932-2020), una delle figure più influenti nella storia della musica americana e mondiale e non a caso definito 'The Architect of Rock and Roll'. Un genio indiscusso, che in vita ha avuto il giusto riconoscimento troppo tardi, e il film documentario 'Little Richard: I am everything', in uscita negli Stati Uniti il 21 aprile, diretto da Lisa Cortés (Precious, 2009) cerca di colmare dei vuoti mostrando quanto fosse spudoratamente 'tutto' (da cui il titolo 'I am everything').
Attraverso immagini di repertorio della vita e della carriera del cantautore, pianista e attore statunitense, nonché testimonianze di esperti, familiari e amici, il film guida lo spettatore nel complicato mondo interiore di Little Richard, mostra la storia della sua vita, simile ad un tracciato a tornanti, con tutte le sue contraddizioni.
Nato in una Georgia degli anni '30 fortemente segnata dalla segregazione razziale, in una famiglia molto religiosa, Penniman visse la sua esistenza come una pallina da biliardino, rimbalzando tra Dio, sesso e rock 'n' roll. Era afro americano e queer e faceva fatica nel conciliare la sua fede religiosa con la sua identità.
Secondo le testimonianze raccolte nel film, Richard creò una forma d'arte di autoespressione portata all'estremo e regalò al mondo (attraverso il rock and roll) ciò che tuttavia non fu mai in grado di dare a se stesso. "Il mondo cercò di rinchiuderlo in una scatola - dice una voce narrante - e invece era un essere umano onnicomprensivo che conteneva moltitudini". (ANSA).
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