I disturbi alimentari, gli atti di autolesionismo quando non i tentativi di suicidio, ma anche l'isolarsi dal resto del mondo con l'unica compagnia di uno schermo sempre acceso, il sentirsi frustrati, incompresi, ingannati, senza nessuna prospettiva per il futuro: sono tanti i ragazzi 'rotti', che 'non funzionano' più, rimasti indietro e resi più fragili dalla furia della pandemia a cui gli adulti non sono stati in grado di parlare né di garantire una protezione.
Su di loro si concentra l'attenzione di Gustavo Pietropolli Charmet autore del libro "Gioventù rubata" (Rizzoli), una riflessione profonda che spiega come i giovani siano stati 'i grandi dimenticati' in questi anni funestati dal covid. Senza più potersi parlare faccia a faccia né toccare, senza scuola, amicizie, amori ed errori i nostri ragazzi sono stati 'messi in pausa' da una serie di divieti e misure di contenimento, e non hanno ricevuto dagli adulti nessuna spiegazione. L'analisi del noto psichiatra e psicoterapeuta inizia focalizzandosi sull'incapacità degli adulti di riferimento a discutere a viso aperto della morte: mentre la tv faceva la conta delle vittime con impietosi bollettini, non si parlava della morte perché questa era diventata troppo vicina e ciò avrebbe significato affrontare le proprie paure. Eppure, scrive l'autore, "educare alla morte può significare aiutare i ragazzi a sapere ciò che sanno, e cioè che vita e morte sono avvinte fra loro e la civiltà ha scelto di stare dalla parte della vita cercando di prolungarla il più possibile nella consapevolezza che la morte è il male". Fragili narcisi, istigati al successo sulla base della rimozione di ogni possibile difficoltà (dalla morte alla malattia, dalla crisi economica ai fallimenti relazionali) gli adolescenti si sono sentiti ingannati: se ha messo a dura prova gli adulti su più fronti, la pandemia ha inferto un colpo violento anche ai ragazzi ai quali ha infatti chiarito che forse le promesse di benessere e relativa tranquillità ricevute fino a quel momento non erano per niente vere. O almeno, non sempre.
Tutto ciò li ha resi confusi e frustrati e per quelli tra di loro più fragili ha significato l'invasione del proprio immaginario di una "incredulità angosciata e rabbiosa nei confronti delle rappresentazioni del presente e del futuro trasmesse dalla famiglia, dalla scuola e dall'informazione di massa". Con la prefazione di Lella Costa, il libro spiega e contestualizza, racconta, apre prospettive, ci inchioda di fronte alle nostre inadeguatezze, sottolineando quanto una società "del narcisismo" come la nostra che non insegna come si fa a imparare dal dolore e dalla sconfitta e che rifiuta di parlare ai ragazzi del tema della morte (per 'proteggerli' e perché lo intende un tabù troppo difficile da affrontare), di fatto non promuove la vita, ma crea fantasmi pericolosi.
Coinvolgere i ragazzi nella costruzione responsabile del proprio futuro è possibile, a patto però di essere autorevoli, sensibili e sinceri: secondo Charmet, né la famiglia né la scuola né le istituzioni sono state in grado di far fronte all'insopprimibile, duplice esigenza degli adolescenti di sapere la verità e di essere coinvolti nella soluzione del problema. E' mancata una alleanza tra le generazioni, non c'è stata una voce competente che, con chiarezza e sostenendoli nel delicato momento della crescita, dicesse loro cosa stesse accadendo, e quale minaccia rappresentasse davvero il virus che ha travolto il mondo intero. Invece, tutto si è ridotto a un insieme di divieti, regole da rispettare e privazioni a volte anche in contrasto. Eppure, sottolinea saggiamente Charmet, "i giovani non sono gli avversari potenziali del Comitato tecnico-scientifico, sono l'armata di riserva pronta a scendere in campo. Qualcuno glielo ha mai chiesto di venire a dare una mano?" (ANSA).