BRUXELLES - Il telelavoro resterà e porterà con sé nuove opportunità di sviluppo per i territori svantaggiati, ma anche il rischio di un aumento delle disuguaglianze socioeconomiche e territoriali. Compito della politica di coesione nel post-pandemia sarà quindi quello di affrontare le sfide associate all'accelerazione della digitalizzazione. Questa la valutazione che emerge da un working paper dedicato ai flussi migratori e all'economia della conoscenza realizzato dal programma studi Espon, specializzato in indagini regionali Ue.
La pandemia ha avuto un impatto negativo sui livelli e i modelli di consumo e produzione in tutto il mondo. Città e regioni europee hanno dovuto affrontare lo choc della crisi sanitaria e delle sue conseguenze proprio quando la digitalizzazione, la crescita dell'economia della conoscenza, i cambiamenti demografici e la globalizzazione avevano innescato dei mutamenti nel mercato del lavoro. D'altra parte, la pandemia avrà delle implicazioni nel lungo termine sull'innovazione, accelerando la transizione digitale e rafforzando la fornitura di servizi digitali.
Secondo i ricercatori, questi cambiamenti continueranno a plasmare il modo in cui le persone vivono e lavorano, poiché lo smart working offre una maggiore flessibilità e autonomia lavorativa, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e tempi di spostamento ridotti. Il che si potrebbe tradurre in un vantaggio per le aree più periferiche, portando a una distribuzione più equilibrata dell'occupazione e della popolazione. Vi sono già indizi che vanno in questa direzione: negli Stati Uniti, scrivono i ricercatori, si è registrato un significativo spostamento dei residenti da contee densamente popolate a contee meno affollate.
Il telelavoro potrebbe non solo far crescere l'appeal della vita non urbana, ma anche stimolare la domanda di migliori infrastrutture di telecomunicazione e di spazi di co-working. Le stesse attività economiche, specie quelle ausiliari, potrebbero decidere di lasciare i grandi centri urbani per migrare verso aree residenziali. Insomma, un'opportunità che necessita di politiche volte ad aumentare l'attrattività di territori meno sviluppati. Durante la pandemia, ad esempio, è emersa la centralità delle infrastrutture digitali per consentire il lavoro da remoto e la didattica a distanza.
Eppure nelle aree rurali il 41% delle abitazioni non è coperto dalla banda larga e questo secondo i ricercatori potrebbe spiegare in parte perché lo smart working tende ad essere più concentrato nelle città. Per contrastare l'emergere di nuove disuguaglianze occupazionali e sociali, concludono i ricercatori, le strategie politiche europee e nazionali devono affrontare le implicazioni sociali del ricorso estensivo allo smart working puntando a migliorare le opportunità offerte da tali forme di lavoro e ad aumentare l'inclusione sociale di gruppi e territori attualmente emarginati.
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