BRUXELLES - La reperibilità costituisce orario di lavoro se i vincoli imposti al lavoratore pregiudicano in modo assai significativo la sua facoltà di gestire il proprio tempo libero durante questo periodo. Lo stabilisce la Corte europea di giustizia, chiamata a pronunciarsi su due cause che riguardavano un tecnico incaricato di assicurare il funzionamento dei centri di trasmissione televisiva in zone montane della Slovenia, e un funzionario che esercitava attività di pompiere nella città di Offenbach am Main in Germania.
Entrambi i ricorrenti chiedevano che i loro periodi di prontezza in regime di reperibilità fossero riconosciuti come orario di lavoro ed essere remunerati di conseguenza, indipendentemente dal lavoro concretamente svolto durante tali periodi. Ai fini di tale valutazione che, specifica la Corte, spetta ai giudici nazionali, risultano irrilevanti "le difficoltà organizzative che un periodo di guardia o prontezza può determinare per il lavoratore e che sono la conseguenza di fattori naturali o della libera scelta di costui".
La Corte sottolinea poi che ai fini remunerativi una normativa nazionale, un accordo collettivo di lavoro o una decisione di un datore di lavoro possono prendere in considerazione in maniera differente i periodi in cui vengono realmente effettuate delle prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non viene svolto alcun lavoro effettivo, anche quando tali periodi sono considerati come orario di lavoro, dal momento che "le modalità di remunerazione dei lavoratori per i periodi di guardia o prontezza non ricadono sotto la direttiva 2003/88".
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