Sorride, sicuramente soddisfatta, ma molto provata per quella che lei stessa definisce «un’impresa sportiva»: Sofia Goggia atterra a Malpensa dopo aver conquistato un argento in discesa che ha un sapore leggendario. Tre settimane fa, la caduta a Cortina in Coppa del Mondo, la corsa a Milano dal dottor Panzeri e l’esito dei controlli, una «lesione parziale del legamento crociato» che Maria Rosa Quario, madre della compagna Federica Brignone, ha messo in dubbio. La Goggia non replica direttamente alle dichiarazioni polemiche. «Preferisco sorvolare, come faccio in discesa che è la cosa che mi riesce meglio. Non voglio proferire parola - spiega - e alimentare inutili questioni. Se ho sentito la Brignone? Le ho fatto i complimenti per il bronzo in combinata appena scesa dall’aereo».
Direttamente non commenta, evita di lasciarsi andare a risposte emotive. Ma nel raccontare sofferenze, sacrifici, prove fisiche e psicologiche, che l’hanno portata fino all’argento di Pechino, Sofia Goggia rivendica la veridicità del suo infortunio anche sfiorando un momento di commozione. «Quando ho messo gli sci per la prima volta in Cina, la gamba dopo il viaggio era quella che era. Ho cercato di caricare fino all’ultimo in Italia, ma non si possono ingannare troppo i tempi biologici di guarigione. La risonanza parla chiaro - sottolinea - il mio crociato era un po’ sfilacciato. Bisognava ridare stabilità e non è stato semplice. Ho messo gli sci in Cina e piangevo mentre scendevo, piangevo mentre salivo in seggiovia. Avevo paura dei pali, paura di cadere. Il volo di Cortina è ancora fresco. La bontà di quel volo è chiara, il dottor Panzeri mostra cadute di quel tipo ai suoi praticanti per far vedere come si rompono i crociati».
L’infortunio è autentico, il dolore anche. Lo è tutt'ora tanto che spiega di essere scesa «in condizioni un po’ rischiose» e che ora è necessario un «percorso riabilitativo» ma sembra scongiurata l’operazione chirurgica.
È presto anche per parlare di Milano-Cortina, Sofia ragiona «giorno per giorno». Ora c'è una Coppa del Mondo di specialità da conquistare: «Voglio dare il meglio ma non riesco ancora a stare in posizione aereodinamica, non riesco a piegare il ginocchio così tanto». Per poter partecipare alle Olimpiadi Goggia ha iniziato subito un duro lavoro di riabilitazione, ha pranzato due volte in dieci giorni, non usciva neppure dalla camera d’albergo per cenare. È la forza d’animo di una campionessa dalle ginocchia fragili ma che sa rialzarsi. «Psicologicamente è stata durissima. Ho avuto una crepa anche nel menisco del ginocchio destro, non riuscivo ad uscire dall’hospitality, è stata durissima. Quando sono andata a Milano per i controlli ho pianto tutto il viaggio, durante la risonanza magnetica continuavo a singhiozzare. Mi hanno dovuto mettere i pesi alla gamba per tenerla ferma», racconta.
Ora però ha una medaglia olimpica al collo. Anche se non è d’oro come sperava e sognava. «L'oro di PyeongChang ha un valore diverso, è intrinseco nel colore della medaglia. Ci sono rimasta malissimo per quei 16 centesimi, l’oro è tutto quello che mi ha motivata che mi ha portata a dare più di quello che avevo. Ma sono soddisfattissima. Quella che ho compito è un’impresa sportiva viste le condizioni. E sono molto felice di aver dato tutta me stessa».
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