PALERMO. Ora che Sergio Marchionne ha riportato l’Alfa nel mondo della Formula 1 si chiude un cerchio il cui primo tratto fu tracciato nel 1939. In quei giorni di novembre, proprio come oggi, l’Alfa licenziò Enzo Ferrari. E il Vecchio da quel giorno spiccò il volo come costruttore di macchine. Fino ad allora era stato il capo del reparto corse di quella Casa nata quasi vent’anni prima con un nome che in pochi conoscono per esteso. Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, questo significa Alfa. E siamo alla vigilia della Grande Guerra, quando nasce questo mito. All’epoca aveva come marchio solo il biscione visconteo e la croce amaranto. Era nato per iniziativa di un milanese, il cavalier Stella, che si associò a un’azienda francese, la Darracq. Dopo la guerra acquistò una parte dell’Alfa un napoletano di nome Nicola Romeo. Lui aveva il pallino per le corse automobilistiche, che in quegli anni stavano affascinando il mondo che usciva dai colpi di mortaio e la tragedia di Caporetto. E poco dopo, intorno al 1920, un giovanissimo Enzo Ferrari si avvicina all’Alfa. Ne è sedotto, acquista una macchina senza nemmeno avvisare la madre che stava investendo su quell’oggetto tutti i risparmi. I primi anni di Ferrari all’Alfa sono caratterizzati dal rapporto con un siciliano , Giorgio Rimini, che è il capo della casa milanese. Quel Rimini passerà alla storia per essere stato l’unico a poter dire di aver fregato Ferrari: quella macchina che gli aveva venduto, la G1 sei cilindri, non verrà mai consegnata. O almeno non nei tempi che servivano a Ferrari. E questo perché Rimini inserì nel contratto una clausola di cui Ferrari non si accorse. Recitava così: “Consgena il più presto possibile e anche prima”. Nessuna data, nessun impegno. Tuttavia Ferrari e Rimini legarono le proprie forze e il modenese, allora giovane pilota, si presentò al via della Targa Florio in Sicilia nel 1920 proprio su un’Alfa. Si classificò secondo e ammise di aver pianto. Ma nel destino di Ferrari c’era il divenire “agitatore di uomini” e anche questa strada iniziò all’Alfa: nel 1929, proprio il 29 novembre, come oggi, al tribunale di Modena viene registrata la Società Anonima Scuderia Ferrari. Un team, lo chiameremmo oggi, che corre con vetture Alfa, tre in tutto. E’su una macchina Alfa che il giovane Enzo sistemerà per la prima volta il Cavallino Rampante: anno 1932, circuito di Spa. La leggenda inizia anche così. Di più, nel corso degli anni Enzo Ferrari diventerà il capo del reparto corse Alfa. Fino a prendere sempre più potere dentro l’azienda. E questa sarà la molla che porterà al licenziamento. Che si cela dietro una sigla: 158. E’ una macchina di cui Ferrari poteva orgogliosamente definirsi quasi il progettista e che alla fine del 1937 i vertici Alfa volevano mandare in soffitta turbati da qualche sconfitta subita dalla Mercedes (sempre lei…). Ferrari non lo accettò. Ma dietro quel no c’era la volontà di non soggiacere più a ordini dall’alto. Stava nascendo l’idea di diventare costruttore. E anche in questo passaggio l’Alfa lasciò il suo marchio sul Drake: gli fece firmare, nell’ultimo contratto prima del licenziamento, una clausola che gli impediva di “fabbricare macchine che portano il suo nome”. Ed è per questo che quando nel 1939 Ferrari darà alla luce la sua vera prima macchina da costruttore, la 815 (un anagramma di quel 158 da cui nacque la crisi con Alfa), il marchio sul cofano sarà Auto Avio Costruzioni. Da lì in poi Ferrari farà tutto in proprio. Certo, nel frattempo l’Alfa proseguirà la sua grande stagione di successi: i primi due mondiali ufficiali nella storia della Formula 1 vennero vinti da un’Alfa Romeo, nel 1950 con Fagioli e l’anno dopo con Fangio. Ma Ferrari cresce. E la rivincita, come sempre nella storia delle auto, è scritta nel tempo: 14 luglio 1951, Silverstone, una macchina Ferrari vince per la prima volta un gran premio di Formula 1 con Gonzales al volante. Il cerchio si sta per chiudere. Il Drake si abbandona alla commozione: “Oggi ho ucciso mia madre” dirà al pilota argentino. Perché l’Alfa, quella macchina lì che aveva il colore amaranto simbolo della velocità, è un po’ la madre della Ferrari. E oggi Marchionne, che è l’erede di Ferrari, le ridà vita (almeno in F1). Ora sì, il cerchio si è chiuso. Ci sono voluti circa 80 anni.