RIO DE JANEIRO. Doa e Kira, divise da una rete: una col capo velato, l'altra in bikini. Sono avversarie, ma saltano e schiacciano allo stesso modo sulla spiaggia di Copacabana. Le culture si mostrano per unirsi alle Olimpiadi, e anche qui a Rio, la sfida tra l'egiziana El-ghobashy e la tedesca Walkenhorst, diventa la cartolina e lo spot dell'integrazione: Doa ha 19 anni, per lei nè top, nè gambe nude. Sulla sabbia di una delle baie più famose al mondo, si è presentata per la sua prima Olimpiade coperta dalla testa ai piedi, pants neri, maglia verde e hijab in testa. «Sono orgogliosa di indossarlo - racconta la pallavolista da spiaggia - il velo non mi impedisce di fare ciò che amo, come il beach volley». Gioca in coppia con Nada Meawad, diciottenne del Cairo, anche lei musulmana: niente velo però, ma gambe e braccia rigorosamente coperte con la divisa che ha ricevuto l'ok della federazione internazionale. Dall'altra parte della rete le due tedesche, Laura Ludwig e Kira Walkenhorst, poco più grandi della coppia egiziana: bikini contro burqini, top e slip sgambato da una parte, dall'altra la tenuta da mare per le donne musulmane. Macchie di colore diverse e unite dalla passione per uno sport che in questo avvio di Olimpiadi ha acceso il pubblico brasiliano: il tutto esaurito, del resto, si registra solo nell'arena del beach allestita a Copacabana, tra chioschi di caipirinha e gente che corre in spiaggia. «Peccato sia finita presto - sorride Doa - ma siamo felici perchè siamo in uno dei posti più belli al mondo per giocare a beach. È solo un anno che ci alleniamo e siamo già alle Olimpiadi: non possiamo che essere orgogliose». Ma a Rio sono diverse le sportive musulmane che vestono gli abiti tradizionali: come Ibitaj Muhammad, americana, campionessa di sciabola, o la portabandiera iraniana, Zahra Nemati, campionessa di tiro all'arco in carrozzina. Doa e Nada sono due delle poche donne che l'Egitto ha mandato ai Giochi: su 123 atleti solo 37 la quota rosa, un terzo. Ma sono qui e hanno voglia di giocare: domani incrociano l'Italia di Marta Menegatti e Laura Giombini. Ancora Copacabana, una rete, un pallone, culture diverse, ma nessuna divisione oltre alla rete.