Si definiva «di natura fondamentalmente timida», ma di timido nella sua vita non ha fatto praticamente niente. Da quando a 20 anni decise di unirsi alla Resistenza piuttosto che rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale di Mussolini, Carlo Smuraglia ha sempre fatto sentire la sua voce, da partigiano, da avvocato, da docente, da politico, soprattutto per difendere la Costituzione i suoi valori. Non si è mai fermato il presidente onorario dell'Associazione partigiani. Smuraglia non ha mai smesso di andare nelle scuole, nelle sezioni dell’Anpi, ovunque veniva chiamato, per parlare di memoria e di democrazia.
Entrato venerdì scorso alla clinica Madonnina di Milano per una operazione di routine, è morto nella notte a pochi mesi dal suo 99/o compleanno. Lascia 3 figli, Massimo e Marina avuti dalla prima moglie, e Alberto, il più giovane, avuto da Enrica Domeneghetti, per tutti Chicca, 92 anni, avvocatessa come lui e come lui sempre presente nel loro studio a Milano, dove Smuraglia veniva chiamato semplicemente «il prof». Perché l’età non è mai stata un problema per un uomo che a 93 anni è salito sul palco della Festa dell’Unità di Bologna per confrontarsi sulla riforma costituzionale con l’allora segretario del Pd Matteo Renzi, 50 anni più giovane di lui. Era ancora nel 2016 il presidente nazionale dell’Anpi che con lui non è mai stata solo rivolta al ricordo del passato, ma una voce a commento del presente.
«Schiena diritta, sguardo verso le stelle», disse nel suo ultimo discorso al Consiglio Nazionale dell’associazione di cui Smuraglia è stato il più autorevole e ascoltato rappresentante e «il suo esempio di coerenza, il suo impegno fino all’ultimo giorno nella difesa della Costituzione e nella trasmissione dei valori repubblicani ha affascinato migliaia di giovani», come ha spiegato Liliana Segre. Un impegno che si è sentito ovunque, da avvocato nei tribunali, da docente nelle università, da politico prima al Consiglio regionale della Lombardia e poi in Senato, da giurista nel Csm. Militante del Pci, nato ad Ancona, laureato al Sant'Anna di Pisa ma milanese da decenni, da avvocato ha seguito l'evento più tragico della storia del capoluogo lombardo, la strage di Piazza Fontana, come avvocato di Licia Pinelli. E se rimase per sempre legato alla famiglia del ferroviere anarchico - così come a Corrado Stajano, che seguì la strage da giornalista - la vicenda che lo segnò emotivamente di più fu quella del sequestro e dell’omicidio di Cristina Mazzotti, uccisa dalla 'ndrangheta a soli 18 anni.
La difesa dell’uguaglianza e dei diritti, a partire da quello del lavoro, l’attenzione per i giovani e per le donne, l'antifascismo e la lotta all’indifferenza, all’apatia, sono state la base della sua attività di avvocato e del suo impegno civile: «Una figura esemplare della nostra Resistenza, custode dei grandi valori di libertà, democrazia, lavoro, tutela dei più deboli sanciti dalla nostra Costituzione», lo ha definito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Per la prima volta quest’anno non ha partecipato alle celebrazioni del 25 aprile a Milano, ma a marzo era a Rimini per il congresso nazionale dell’Anpi dove gli hanno impedito di parlare dal palco i primi problemi di salute, non certo la paura di affrontare le polemiche sulla sua posizione sulla guerra in Ucraina. Perché timido forse lo è stato, ma pavido proprio mai.
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