ROMA. L'hanno chiamato «il Napoleone del cinema comico», ammiccando alla sua modesta statura, ma segnalando il suo genio istrionico e imprevedibile alle prese con la forma espressiva più difficile, quella della risata. Mel Brooks, che compie oggi 90 anni, è un talento che nasce nel cuore della cultura ebraica che dal centro Europa va a cercar fortuna negli Usa. Nato a Brooklyn da emigrati tedeschi, russi e bielorussi secondo lo schema più tipico degli emigranti di Long Island, Melvin James Kaminski, noto come Mel Brooks, è quasi più famoso in Italia che in patria. Di Hollywood e Broadway è stato re indiscusso tra gli anni '70 e lo scorso decennio, ma se oggi il suo nome suscita ancora emozione e rispetto dalle nostre parti, in America è un signore di 90 anni vagamente dimenticato. Da noi l'autentica amicizia da parte di Ezio Greggio, il ricorrente successo del suo capolavoro «Frankenstein Junior», la simpatia cinefila fanno ancora il miracolo come è accaduto pochi giorni fa a Milano con l'omaggio della Cineteca Italiana dove un pubblico di veri fan ha applaudito «Frankenstein Junior», interpretazioni che hanno fatto storia (il remake di «Essere o non essere» di Ernst Lubitsch), ma anche il docu «Vivere per ridere» di Robert Trachtenberg che va in onda oggi su Studio Universal. Occasione per scoprire la parte meno nota della sua carriera, tra tv e rivista, nonchè i risvolti della storia d'amore con la moglie Ann Bancroft, che in più di 40 anni di sodalizio è stata la vera musa del suo talento. Arruolato nell'esercito Usa nella seconda guerra mondiale, nelle retrovie del fronte si scopre comico di talento. Tornato a Brooklyn comincia la gavetta dei locali ma ha presto la fortuna di strappare un contratto come «battutista» per la tv e finirà addirittura a scrivere gag per Woody Allen. Se ne accorge anche la critica che gli porta in dote un Grammy Award come sceneggiatore, ma è Ann Bancroft sposata nel 1964 a spingerlo verso il mondo del cinema. L'esordio nel '68 con «Per favore non toccate le vecchiette» in cui dirige l'amico Zero Mostel e Gene Wilder che sarà compagno di strada fino a tutti gli anni '70. Il film d'esordio ha più consensi tra i critici che tra il pubblico, come del resto il successivo «Il mistero delle 12 sedie» fa il verso alla cultura yiddish e alle sue origine ebraiche. Ma lui insiste e si impegna nella produzione e regia di «Mezzogiorno e mezzo di fuoco» che sarà un successo a sorpresa con la sua parodia del genere western. Per uno strano scherzo del destino è proprio Gene Wilder a (che nel western di Brooks è stato arruolato all'ultimo momento per rimpiazzare il protagonista malato) a portargli in dote il soggetto dalle uova d'oro: sono due paginette su un «Giovane Frankenstein» che il regista legge con sospetto e mette da parte per l'impegno nella preparazione del suo film. Wilder invece insiste, incontra Marty Feldman e lo ingaggia, si affida a un talent scout come Mike Medavoy ed è quest'ultimo a tornare alla carica con Brooks fino a convincerlo. «Frankenstein Junior» arriverà in sala nel '74 e farà a gara con «Mezzogiorno e mezzo di fuoco» per successo e consenso. Ad oggi i due film restano nell'olimpo della commedia americana. Al filone della parodia e del paradossale con strizzate d'occhio cinefile Brooks resterà fedele in tutta la sua produzione: «Alta tensione» (1977) dedicato a Hitchcock e alla sua «Donna che visse due volte»; «Balle spaziali» (1987) in onore di «Star Wars»; «Robin Hood: un uomo in calzamaglia» (1993), «Dracula, morto e contento» (1995). La passione per il cinema illumina anche le imprese più spericolate come il muto «L'ultima follia di Mel Brooks» (1976) e «La pazza storia del mondo» (1981) che resterà senza l'annunciato seguito. Il declinante successo commerciale riporta il regista al teatro dove trova nuova gloria con azzeccati adattamenti dei suoi lavori, da «The Producers» (versione musical di «Per favore non toccate le vecchiette») al costosissimo (16 milioni di dollari d'allestimento) «Frankenstein Junior» del 2007. Ma nessuna di queste imprese avrà la stessa grazia e leggerezza dei suoi film più riusciti e della sua magistrale interpretazione, in coppia con la moglie Ann Bancroft, per «Essere o non essere». Forse il segreto sta nelle ambientazioni: ancor più che gli scenari americani sono proprio quelli delle mitteleuropa, tra nazismo, espressionismo, cultura yiddish e cinico umorismo, a ispirare al meglio Brooks. E il fascino dell'Europa avrà sempre un posto d'onore nella sua vita, come confermato dalle due apparizioni «regalate» all'amico Ezio Greggio nel «Silenzio dei prosciutti» (1994) e «Svitati» (1999). Oggi si può permettere di festeggiare i 90 anni da maestro, visto che è tra i pochissimi ad aver vinto tutti i premi: Oscar per il cinema, Tony per il teatro, Grammy per la radio, Emmy per la tv. Narciso (adora comparire nelle sue pellicole), autoironico («Sono uno degli uomini più belli del mondo. Essere basso non mi ha mai disturbato un momento. Tutti gli altri momenti volevo suicidarmi»), stravagante (fissò a 450 dollari il prezzo del biglietto per il suo «Frankenstein» a teatro), colto e appassionato, Brooks sarà ricordato tra i giganti della commedia.