ROMA. «Non si dà mai un volto agli eroi normali che dedicano la loro vita agli altri. Per questo ho voluto a tutti i costi raccontare la storia di questi uomini che hanno giurato fedeltà alla bandiera italiana e alla gente»: è un Raoul Bova particolarmente orgoglioso e soddisfatto quello che ha presentato a Roma la fiction «Fuoco amico. Eroe per amore», in onda su Canale 5 in prima serata, nella quale è protagonista accanto a Megan Montaner.
Otto puntate firmate dal regista Beniamino Catena, in un progetto ambizioso che ha visto anche il coinvolgimento diretto dell'Esercito Italiano: al centro di Fuoco amico la vicenda del capitano Enea De Santis, capo del distaccamento incursori del 9 Reggimento d'Assalto Paracadutisti «Col Moschin», inquadrato nella Task Force 45, che in missione in Afghanistan cerca di fare giustizia in un contesto di corruzione e dolore, dove i bambini diventano merce di scambio per interessi economici.
Durante un'operazione Enea conosce e si innamora di Samira, una ragazza afghana che lavora in uno degli ospedali di Recovery, organizzazione no profit fondata da suo padre Romeo (Ugo Pagliai), scomparso in circostanze misteriose.
«In questa fiction parliamo di armi batteriologiche e di cavie umane utilizzate nelle sperimentazioni per i vaccini. Proprio perchè non sopportiamo più di non sapere chi decide per noi e per le nostre vite, abbiamo provato a chiederci chi sta dietro al terrorismo o agli interessi economici di chi lucra sulla salute delle persone. E il personaggio di Enea è come quello di Ultimo: non smette mai di lottare, e rischia la vita perchè non sa più di chi può fidarsi, nè chi sia suo amico e chi no», ha detto l'attore, che ha sottolineato di non essere interessato alle divise, «ma solo alle persone che ci sono dentro. Le stellette servono nel cuore, e i nostri militari non attaccano, ma difendono la gente».
Girata in sei mesi tra Roma, Marocco, Malta e Sardegna, la fiction promette di essere una grande e appassionante avventura in cui, accanto a colpi di scena e situazioni rocambolesche, troveranno spazio l'amore e l'impegno sociale, la famiglia e il dolore, ma anche uno sguardo più ampio, che si ricollega ai poteri forti e alla complicata situazione che stiamo vivendo sul piano internazionale.
«Questo lavoro è come un Caso Spotlight italiano: non è un film per il cinema nè un telegiornale, portiamo in tv una storia che fa sognare, in cui c'è il sentimento ma anche un gruppo di eroi italiani che lottano contro i corrotti e per i propri ideali», ha proseguito.
«Ormai siamo instabili, delusi e impauriti per tutto quello che accade nel mondo. Stiamo distruggendo la generazione futura. Se chiedo ai miei figli di dirmi quali sono i loro ideali, mi rispondono che non ne esistono più perchè le persone sono tutte corrotte e non ci sono punti di riferimento. Invece esiste tanta gente che si dedica agli altri e a me piace credere che c'è ancora speranza grazie alle brave persone».
Per Bova, nelle vesti di attore ma anche di produttore (anche se dice «sono solo un attore che voleva raccontare una storia»), la fiction è stata un impegno totalizzante, che lo ha coinvolto soprattutto come uomo, perchè «rispecchia i miei ideali», sottolinea.
E non sorprende, viste le attività che al di fuori del lavoro sta portando avanti a favore di chi soffre: «Con la fondazione Capitano Ultimo abbiamo messo in piedi una casa famiglia per dare da mangiare a chi non ne ha e alcuni progetti per donne vittime di violenza», ha raccontato. Svelando infine il sogno di prossima realizzazione: «Creeremo una scuola per ragazzi affetti dalla sindrome di Down», ha concluso, «sarà un laboratorio artistico, di musica, canto e teatro, in cui spero di poter stare in prima persona il più possibile».
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