ROMA. «Ho smesso di domandarmi perchè. Ogni problema è un'opportunità». E non sai se il maestro Ezio Bosso - torinese, 44 anni, enfant prodige, una vita passata a comporre, dirigere, suonare il piano - si riferisca alla musica e alla scelta di far uscire proprio ora il suo primo album fisico, The 12th Room, un doppio cd per piano solo registrato con il pubblico in sala a Gualtieri (Reggio Emilia), o se stia parlando «dell'incidente», della Sla che lo ha colpito alcuni anni fa ma che non è riuscita a fermarlo.
«Ho deciso di pubblicare ora questo disco semplicemente perchè è arrivato il momento giusto e perchè prima non me lo facevano fare. Ho fotografato un pezzo della mia vita», racconta Bosso nel giardino assolato del suo albergo preferito di Roma, «una città che ho amato profondamente e altrettanto profondamente ho odiato durante gli anni in cui vi ho vissuto». The 12th Room si compone di due dischi, il primo presenta 12 brani e il secondo una sonata di 45 minuti, che non si interrompe mai. «Il tempo è un pozzo nero. E la magia che abbiamo in mano noi musicisti è quella di stare nel tempo, di dilatare il tempo, di rubare il tempo. E la musica, tra le tante cose belle che offre, ha la caratteristica di essere non un prodotto commerciale, ma tempo condiviso. E quindi in questo senso il tempo come noi lo intendiamo non esiste più».
Un musicista filosofo, verrebbe da pensare. Un'idea che il suo modo di parlare, di guardare, di ascoltare sembrano confermare. Come anche l'idea che il doppio cd ruoti intorno all'idea di stanza. «Stanza è una parola importante nella vita degli uomini, ma spesso è data per scontata. Eppure nel linguaggio vuol dire tanto, vuol dire poesia, canzone, libertà, affermarsi. Vuol dire persino costruire». I brani rappresentano un percorso narrativo, «storie che raccontano una vita, tante vite, le nostre vite. Le stanze sono una scusa per raccontare la musica».
Lo spunto lo ha preso da una teoria antica che spiega come la vita sia composta da 12 stanze, quelle in cui lasciamo qualcosa di noi. La prima stanza, quella della nostra nascita, però riusciremo a ricordarla solo quando raggiungeremo l'ultima. «E si può quindi ricominciare. Anche perchè la 12/a stanza è l'ultima solo perchè gli diamo un numero».
I 12 brani, «che ho incontrato e non scelto», rivelano anche i due musicisti che convivono in Bosso: il compositore e l'interprete. «Scrivo perchè interpreto, interpreto perchè scrivo. E affronto la mia musica come se non fosse mia. Affronto come interprete il compositore».
Paragonato a Philip Glass e Michael Nyman, preferisce non fare paragoni, ed elegge Beethoven a padre artistico «perchè mi ha insegnato a essere un uomo libero. Glass e Nyman sono amici, ma l'unica cosa che ci accomuna è il cognome a 5 lettere. Io mi definisco poco, perchè sono poco definito. E poi le definizioni distraggono: sono Ezio per gli amici e sono un musicista, uno che si dedica alla musica e che si dedica agli altri attraverso la musica. E fa la musica in cui crede. Perchè la musica ci insegna la cosa più importante: ad ascoltare e ad ascoltarci l'un altro». Tra le sue collaborazioni quella ormai di lunga durata con Gabriele Salvatores, di cui ha scritto varie colonne sonore compresa l'ultima per il film Il ragazzo invisibile.
La malattia, che a volte lo tiene lontano dal pianoforte, non lo spaventa. «La malattia non è la mia identità, è più una questione estetica. Ha cambiato i miei ritmi, la mia vita. Ogni tanto 'evaporò. Ma non ho paura che mi tolga la musica, perchè lo ha già fatto. La cosa peggiore che possa fare è tenermi fermo. Ogni giorno che c'è, c'è. E il passato va lasciato a qualcun altro».
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